Mino Pecorelli e i misteri di via Fani (parte prima)

L’ultimo numero del settimanale Op, acronimo di Osservatore Politico, è uscito il 20 marzo 1979, stesso giorno in cui il suo direttore fu assassinato con quattro colpi di pistola in via Orazio, nel quartiere Prati in Roma. Si chiamava Carmine Pecorelli, detto Mino. I suoi assassini, ad oggi rimasti ignoti, forse un giorno furono anche processati ma infine tutti assolti perché tra loro ce n’era almeno uno che proprio non poteva essere processato. Cose che sappiamo succedere in Italia, ma che allora succedevano un po’ troppo spesso in quei porti delle nebbie che erano i tribunali. Ma di fronte all’impossibilità del giudizio, la grande eredità che resta ai cittadini di oggi, sono gli articoli pubblicati da quell’agenzia, che poi divenne settimanale, nell’arco di ben 10 anni, gli anni Settanta. Tutti scritti da Pecorelli di suo pugno, in cui un attento lettore può agevolmente ripercorrere i più grandi scandali della recente storia italiana. Perché lui attingeva informazioni direttamente dai Servizi segreti, o meglio dalla loro faida sotterranea. Famose quelle tra generali come Viola e De Lorenzo e poi tra Maletti e Miceli. Quest’ultimo è miracolosamente ancora vivo, forse perché nel momento decisivo pensò bene di riparare in Sud Africa.

Con una forma classicista e uno stile sibillino, Pecorelli era maestro in indiscrezioni, allusioni, analisi, preveggenze e ammonimenti. Di enorme interesse per le nuove generazioni restano le rivelazioni che fece sul caso di Aldo Moro, ritrovato cadavere in via Caetani una quarantina d’anni fa. E su cui ancora oggi una Commissione parlamentare sta lavorando, iniziando finalmente a poter considerare qualche prova. Si perché tutto è stato abilmente insabbiato da quel segreto di stato che purtroppo nel nostro paese ha sempre coperto essenzialmente le malefatte dei politici.

 Fin dai tempi di Mondo d’Oggi, il giornale in cui l’avvocato Pecorelli nel 1967 iniziò a fare il giornalista con il ruolo di editore, Mino rivelava trame di golpe che prevedevano l’eliminazione fisica di Moro! E poi dal 1974 su Op si ricomincia a parlare costantemente di “Moro deve morire” e “Moro-bondo”. Insomma ben più di una preveggenza, fino al gennaio del 1979, a ben nove mesi dalla morte di Moro, in cui su Op leggiamo l’enigma finale: “Torneremo a parlare del furgone, dei piloti, del giovane dal giubbetto azzurro visto in via Fani, del rullino fotografico, del garage compiacente che ha ospitato le macchine servite all’operazione, del prete contattato dalle Br, del passo carrabile al centro di Roma, delle trattative intercorse...”.

Ma restò un annuncio, perché qualche settimana dopo il sicario passo sotto la sua redazione. Anzi probabilmente stava già lì da giorni a studiare, infatti pare avesse preso casa, naturalmente per conto dei servizi, proprio in un appartamento da cui si inquadrava bene il portone di via Tacito 50... L’unica certezza resta l’importanza del lavoro giornalistico fatto da Pecorelli nel nome della verità, definitivamente confermato, oltre che dalle migliaia di pagine delle sentenze, anche dal fatto che la Commissione Moro oggi sia ripartita proprio dalle sue parole.

Aggiornato il 20 luglio 2017 alle ore 22:18