Il Pdm e la corrente della scorciatoia

Qualche anno fa, quando scrissi il libro “Il Partito dei Magistrati” credo che il giudizio prevalente di quanti vi fecero qualche attenzione fu che si trattasse di una “esagerazione”, del ricorso abusivo ad un concetto relativo ad altro genere di fenomeni della società e della storia. Per non parlare (è un punto dolente dei miei personali ricordi) di quel personaggio (non mi onorò neppure di farmi conoscere il suo nome ed esatta qualifica) di quel giornale che, dopo un primo impegno a pubblicare quel libro, mi disse per telefono, più o meno, che ero matto a volerli cacciare in un simile guaio.

Oggi l’esistenza di un Partito dei Magistrati non è considerata una ipotesi fantastica nemmeno dagli amici di Silvio Berlusconi, che, vittima proprio del carattere predatorio di quel partito, si è per anni ostinato a parlare di “alcuni Pm comunisti”, nemici suoi e dei suoi “moderati”. Ma, a parte la magra soddisfazione di un tardivo riconoscimento (che nessuno, o quasi, mi riconosce) di aver allora avuto ragione, si parla di “Partito dei Magistrati” (Pdm) in modo improprio o, per dir meglio, con riferimento a quello che, tutto sommato, è solo l’aspetto più eclatante, avvertibile anche da menti non più che mediocri, la punta del iceberg del fenomeno politico più grave e pericoloso.

Si discute, infatti, dei magistrati che “scendono in campo politico”, che si candidano nei Comuni, nelle Regioni, per il Parlamento e di quelli che scalpitano perché crepano dalla voglia di cimentarsi “in politica”, e nel frattempo, fanno giustizia, si fa per dire, in funzione elettorale o, magari, si fanno passare per vittime mancate della criminalità, per crearsi ridicole aureole di martirio da venerare adeguatamente solo con il conferimento di un ministero della Giustizia da parte di un ipotetico governo di una sciagurata claque di assatanati forcaioli generosi di cittadinanze onorarie.

Comprendere che anche questo è se non il Partito dei Magistrati, almeno il suo frutto, uno dei suoi aspetti, magari una sua corrente, è già qualche cosa. Ho letto ieri un articolo di Sabino Cassese che si poneva la questione del fenomeno dei magistrati che “scendono in politica” e di quelli che scalpitano per avere occasioni e buone probabilità per riuscire a farlo. Francamente da quello che è sicuramente uno dei giuristi più “alla moda” del momento oserei aspettarmi qualcosa di più e di meglio.

C’è nella politica italiana, non da oggi, ma almeno dagli anni di “Mani Pulite”, ma forse anche da parecchio tempo prima, un’ipoteca che si fa via via più pesante di una magistratura insofferente dei limiti propri delle sue attribuzioni, polemicamente petulante con “lo Stato” e con “la politica” nel chiedere sempre nuove leggi adatte ad essere “interpetrate” secondo una sua “ideologia del mestiere”, invece di sentirsi in dovere di interpetrare ed applicare correttamente e puntualmente le leggi che ci sono.

È questo il vero, il più pericoloso ed incombente “Partito dei Magistrati”, al quale è ascrivibile, intanto, gran parte della responsabilità per lo stato miserabile della giustizia, ma più o meno consciamente tendente alla giurisdizionalizzazione dello Stato che, con buona pace degli scimuniti marciatori “per lo Stato di diritto”, è di questo l’antitesi e l’antitesi delle libere e democratiche istituzioni.

Quell’altra parte, ancora minoritaria, della magistratura “scalpitante”, degli assatanati antimafia e anticorruzione in cerca di popolarità populista in funzione dei suoi miraggi elettorali è anch’essa “Partito dei Magistrati”. Direi che è la “corrente della scorciatoia” di tale partito. La più visibile, oramai, credo persino da Berlusconi. E dai Sabino Cassese. Meglio di niente (per ciò che riguarda la capacità di rendersene conto, non certo per l’esistenza stessa di tale corrente).

Ma per chi voglia difendersi dall’invadenza delle toghe, se è ridicolo chiudere gli occhi di fronte ad un Di Matteo, a un Grasso, a un de Magistris, a un Emiliano etc. non è certo sufficiente che taluno li apra solo per fare i conti di quanti sono i magistrati italiani “fuori ruolo” (e magari “fuori binario”) per incarichi “politici” e, magari, per discutere se possano pretendere o non di “rientrare” a fare il loro mestiere. Occorre, certo, guardare alla punta dell’iceberg, a patto di non ignorare che la gran parte del ghiaccio (o della melma) è sotto l’acqua del mare.

Aggiornato il 19 luglio 2017 alle ore 14:00