La “guerra” dell’accoglienza

Un aforisma, un commento - “Come risolvere il problema delle ondate crescenti di immigrazione in Italia e della simultanea chiusura delle frontiere, per esempio a Ventimiglia? Semplice. Poiché il presidente francese Emmanuel Macron ha dichiarato che la Francia è disposta ad accogliere solo gli immigrati da Paesi coinvolti in conflitti bellici, l’Italia dovrebbe dichiarare guerra, quanto meno a Nigeria, Eritrea, Sudan, Gambia e così via. A quel punto, coloro che provenissero da questi Paesi sarebbero ufficialmente tutti quanti profughi di guerra e Macron dovrebbe essere coerente con la sua stessa dichiarazione”.

Che si tratti di una battuta non toglie che, di fronte a fenomeni dalle dimensioni che conosciamo, le soluzioni ordinarie, fatte di compromessi e piccoli passi in avanti verso qualche accordo di scarsa efficacia, non bastano più. Occorre qualche idea forte e, soprattutto, la sagacia di un uomo politico dello stampo, per capirci, di Cavour, per poterla realizzare. Già, perché, stando alle ‘carte’, l’insieme dei trattati che l’Italia ha sottoscritto è decisamente contro di noi e nessuno, per ora, riesce ad immaginare come si possano aggirare o abolire, unilateralmente.

Ma la partita che l’Italia si trova costretta a giocare, come qualsiasi altra partita, è sempre aperta, nel senso che il carattere imprevisto e le dimensioni “dell’invasione” possono indurre azioni diplomatiche e di diritto internazionale a vari livelli. La politica, in fondo, esiste proprio per questo.

In assenza di personalità politiche all’altezza del problema, è ovvio che il nostro Paese, ancora per qualche tempo, sarà al centro dell’immigrazione dall’Africa se non altro per questioni geografiche. Ma i Paesi del Centro e del Nord d’Europa, con i loro “no”, mostrano di indulgere alle illusioni più miopi. Essi farebbero invece bene a prepararsi perché, presto o tardi, fenomeni come quello di cui stiamo parlando li interesserà comunque da vicino e non basteranno due sbarre chiuse per impedire a masse crescenti di immigrati di inoltrarsi nei loro territori.

Né si può pensare che, a quel punto, possano essere usate le armi. Non tanto e non solo perché sarebbe disumano, ma perché, quando si spara, si è in guerra e, dunque, il senso dell’aforisma riprenderebbe, paradossalmente, il suo pieno significato.

Aggiornato il 18 luglio 2017 alle ore 13:13