Rignano addio

C’era una volta l’Ulivo. Non stiamo parlando né della Xylella, né della Puglia, ma di quell’ibrido politico che ha visto Romano Prodi imperare per una breve, doppia stagione, curiosa e rissosa, su di un composto instabile di sinistra-centro ormai imploso. Malgrado il mantra consolatorio (“ma le politiche sono un’altra cosa”) del neo Segretario, plebiscitato alle primarie del Pd, il “Rieccolo di Rignano” Matteo Renzi (che vede in Giuliano Pisapia, come nell’immigrazione indiscriminata, altrettante “risorse”), la realtà per lui è ben diversa. A breve, infatti, lo aspetta la pillola amara della prossima, rovente direzione nazionale del suo Partito che gli presenterà il conto dei ballottaggi perduti di domenica 25 giugno. Andrea Orlando sembra aver trovato, nella torta avvelenata dei risultati delle amministrative appena celebrate, la lima per rimuovere le sbarre della prigione che lo vede confinato con Matteo nella stessa gabbia dei leoni della sconfitta elettorale. Ma  se Atene piange, direi che Sparta non rida. Intendo parlare dell’asse Salvini-Berlusconi. E non si tratta qui solo di una questione di creste e di galli quanto, piuttosto, di strategie.

Si è visto che la miscela centrista temperata ligure (alla Toti, per capirci) tiene molto meglio localmente - cioè, a Nord - di quanto non faccia quella nazionale, con i continui, interminabili duelli e litigi tra i leader della Lega e di Forza Italia. Ma, mentre i padani sono determinanti nelle regioni del Nord-Est, in cui vincono però solo alleandosi con i forzisti, nel Centro Sud e Isole, invece, i leghisti sono in netta minoranza rispetto ai loro alleati. Sebbene la situazione sia fluida (cioè, grave ma non seria), sussiste la seguente invariante: “Exit Inciucio”, o “Nuovo Nazareno” che dir si voglia tra Pd e Forza Italia. Se proprio vogliamo, un po’ tutti gli elettori europei chiamati di recente alle urne, con la conferma a breve della Germania, sembrano aver ben chiara in mente una semplice cosa: questa Ue degli euroburocrati e dell’austerity finanziaria non la si abbatte con le cannonate populiste antieuropee e antieuro, ma con una seria alleanza riformista di centro, la sola in grado di rimettere mano ai Trattati più discussi (Regolamento Dublino e Maastricht in testa a tutti!), e di cui Merkel e Macron sono i rappresentanti di maggior spicco.

Personalmente, faccio il tifo affinché i Paesi Visegrad (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia) facciano la loro brava “Slavexit”, dopo aver approfittato a piene mani delle risorse finanziarie europee per risollevarsi dalla miseria economica e morale della pianificazione centralizzata comunista. Vogliono la loro “purezza della razza” (in realtà, una foglia di fico che nasconde ben altre ambizioni) che tenga lontani dalle loro frontiere i profughi economici africani? Benissimo, condivido. Per ottenerla, però, debbono pagare il pedaggio di una scissione con la Ue e Bruxelles. Il che non è detto che non sia un vantaggio indiscusso per la famosa “Europa a due velocità”, purché noi italiani si rimanga a far parte della cerchia più ristretta e coesa. Questo per la politica estera di prossimità. Veniamo ora agli scenari interni. Se, come vuole logica e buon senso, si ritiene definitivamente tramontato l’asse Pd-Forza Italia, come si fa a rafforzare quello tra Forza Italia-Lega? Perché solo con una vittoriosa mossa a tenaglia si possono neutralizzare gli antagonisti di sinistra e i populisti incompetenti del M5S.

Se a brevissimo termine non c’è che un’intesa rapida e lucida tra Pd, Forza Italia e Lega per un sistema elettorale che “sistemi” il nemico comune del grillismo velleitario, per ricostruire un sistema bipolare zoppo ma vincente, la vera sfida di centro riguarderà le prossime legislative. Se il centrodestra vuole davvero vincerle, deve fare una cosa molto semplice: mettersi d’accordo sulla staffetta di comando tra le sue due anime. Lo si può fare in modo molto convincente per gli elettori moderati (che restano maggioranza assoluta nel Paese) suddividendo in due fasi il percorso. Nella prima sezione di gara, la guida del Governo sarà di Forza Italia mentre alla Lega andranno i dicasteri dell’Interno e dell’Economia. Al nuovo Parlamento, poi, spetterà l’attuazione di un programma ambizioso di riforme del tipo: riorganizzazione dello Stato nel territorio; introduzione di un presidenzialismo alla francese, che ne eviti i difetti e ne adotti tutti vantaggi; adozione di una nuova normativa del mercato del lavoro e delle imprese, che ci liberi dalla abnorme tassazione e fiscalità odierna. Il tutto, si può fare rapidamente in due-tre anni di tempo.

Dopodiché, si va a referendum confermativo e, una volta vinto quest’ultimo presentando una riforma coerente e al passo con le sfide del XXI secolo, nella Nuova Repubblica presidenziale il centro potrà esprimere un suo candidato vincente che avrà il massimo dei poteri dell’Esecutivo. Non mi pare, in tutta sincerità, una chimera.

Aggiornato il 26 giugno 2017 alle ore 22:44