La logica del sistema elettorale tedesco

La politica non risponde agli eventi con la logica. Non è scienza esatta. Sottostà alle emozioni, agli egoismi partigiani, molto meno alle riflessioni. Tuttavia, nella vicenda della scelta del sistema elettorale, da aggiustare dopo la sentenza della Corte, ci sono alcune conseguenze logiche che sembrano prevalere.

La prima. La bocciatura del referendum costituzionale del 4 dicembre ha significato la volontà di confermare l’attuale modello “garantista”, bocciando i timidi tentativi di riforma in senso efficientista. Meglio andare piano, nell’ascolto di tutti i contropoteri, invece che “correre” nello smantellamento delle incrostazioni (veti sindacali, privilegi corporativi, burocratismi), formate nel corso della prima repubblica. Infatti, la bocciatura dell’uomo solo al comando, non ha comportato solo la stroncatura di Matteo Renzi ma anche la bocciatura di un aggiustamento della forma di governo in senso efficientista.

La seconda conseguenza è la conferma del cosiddetto modello “consensuale”. Alla ricerca del consenso cioè, con l’abbandono dei residui elementi di maggioritario, presenti soprattutto nel sistema elettorale. L’idea d’importare il sistema del Bundestag tedesco, anche da noi, risponde a questa logica: dare seguito alla bocciatura “maggioritaria” insita nel referendum costituzionale.

Oltre alle ragioni logiche, ci sono anche buone ragioni politiche, che spingono in questa direzione. Prima tra tutte l’evoluzione del sistema partitico in senso tripolare. Un tripolarismo che, se persistono le ambizioni leaderistiche di Matteo Salvini, evolverà quasi sicuramente in senso quadripolare, accrescendo l’utilità del recepimento del sistema elettorale tedesco.

Molti parlano di questo modello, anche nelle sedi più competenti, senza conoscerlo. Una cosa è certa: è un sistema integralmente proporzionale. ”Personalizzato”, come si usa dire, ma proporzionale. Sbaglia chi lo qualifica tra i sistemi misti. Di misto ci sono solo i collegi, metà plurinominali, metà uninominali. Ma, l’uninominale serve solo per individuare il 50 per cento delle persone elette, assegnate comunque ai partiti in base al rigoroso metodo d’Hondt. La “personalizzazione” della quota uninominale ha il grande pregio di avvicinare il rapporto eletto-elettori, consigliando candidature di persone esterne alla rigida cerchia della nomenclatura partitocratica. Inoltre, evita forzose alleanze preelettorali, tra partiti talvolta molto diversi tra loro. Infatti, l’eventuale soccombenza nell’uninominale non pregiudica la rappresentanza, recuperabile nel ricalcolo proporzionale.

L’altro 50 per cento dei seggi è attribuito ai candidati meglio posizionati nella lista plurinominale, in base al principio delle liste “serrate e bloccate”. Questo tacita gli interessi delle segreterie di partito.

Nonostante il proporzionale, nel Bundestag entra un numero limitato di partiti, cinque o sei al massimo, per effetto della Sperklausell, clausola di sbarramento del 5%, da conseguire nell’intero ambito nazionale.

Il proporzionale incoraggia la rappresentanza. La Sperklausell le esigenze della governabilità. Metà parlamento eletto con l’uninominale incoraggia la selezione della classe dirigente esterna ai partiti, l’altra metà premia la militanza partitica. La clausola di sbarramento è preclusiva per i partiti minori, ma garantisce stabilità. Per questo è stata giudicata conforme alla Costituzione, perchè, come afferma il Tribunale di Karlsruhe, i parlamenti non devono solo rappresentare ma anche garantire maggioranze stabili.

Il modello Bundestag pare, logicamente, il più adatto all’Italia del post-referendum. C’è una sola incognita, quella del partito di Grillo, che per ora tace, ma, molto difficilmente lo sosterrà, presupponendo coalizioni, o grandi coalizioni post-elettorali, presumibilmente indigeste. Si preparino i partiti storici a fronteggiare l’ostilità del M5S. Ci sono buoni motivi per sostenere il modello tedesco, farlo conoscere, difenderlo. A tutela di qualche piccolo interesse? Anche. Ma innanzitutto per salvaguardare le esigenze del Paese, che è chiamato a raccogliere tutte le forze disponibili per assicurare le condizioni minime di stabilità dell’Italia e dell’Europa.

Aggiornato il 23 maggio 2017 alle ore 21:45