La marcia della coda di paglia

Se c’è un episodio che può ben rappresentare la sintesi ed il simbolo dell’ipocrisia e della stoltezza con la quale i nostri governanti affrontano (si fa per dire, perché tutto fanno fuorché affrontarlo) il problema dell’immigrazione-invasione è quello della marcia che la sinistra, con i suoi cascami e suppurazioni, ha organizzato l’altro giorno a Milano. E se qualcosa di quella manifestazione occorresse sottolineare per giustificare il giudizio drastico (non ho motivi di negare che lo sia) che così ne dò, basta ricordare la partecipazione, certamente la più stolta ed ipocrita fra tutte, del presidente del Senato, Pietro Grasso.

Intendiamoci bene. Io non sto qui a sostenere che il presidente del Senato non deve “scendere in piazza” o per strada. Solo che dovrebbe farlo solo quando tale partecipazione è di reazione, di espressione di sentimento per questioni che travalicano i problemi del potere e, quindi delle Istituzioni che egli rappresenta.

Grasso vuole fare il Marco Pannella (che “richiamava” l’attenzione “del potere” con marce, digiuni ed altre simili gesta su situazioni delle quali intuiva, sempre più genericamente, la gravità e l’importanza, per lo più ignorandone i termini ed i problemi reali) mentre è uno degli esponenti del “potere” al quale la manifestazione è “diretta”... Manifesta, chiede, denuncia a sé stesso. È il comportamento di chi ha “la coda di paglia”, che deve nascondere qualcosa. E, guarda caso, il qualcosa è la responsabilità del non fare, del chiudere gli occhi, del negare l’evidenza. L’evidenza di una invasione. Che la “marcia” voleva farci accettare come una gran bella cosa.

Ma tutta la marcia è, in fondo, la marcia della coda di paglia. Di che cosa si lamentano, per che cosa protestano, che cosa vogliono i marciatori?

Che nessuno muova un dito per ciò che accade, che non vi siano immigrati “legali” e “illegali”, che non si facciano selezioni e controlli, che nessuno sia rispedito al Paese di provenienza. C’è poco da marciare per ottenere tutto ciò. Questa è semplicemente la situazione che, un po’ per ipocrisia, un po’ per incapacità, un po’ per l’ineliminabile subcultura di cui tanta parte della nostra classe politica (si fa sempre per dire) è intrisa, un po’ per non dispiacere al Papa (che ha il privilegio di non dover affrontare i problemi nascenti dalle conseguenze delle sue prediche) si è di fatto creata e che di giorno in giorno sta tranquillamente ingigantendosi nel nostro Paese.

Ma c’è di peggio. C’è chi – non ne voglio fare i nomi come forse dovrei – si fa paladino di questo “accoglientissimo” marciante per garantirsi una sopravvivenza politica dipendente dai buoni servizi da rendere a chi malamente esercita (o, magari, non esercita) il potere nel nostro Paese.

Se proprio devo farne uno esso è quello di Grasso. Aver collaborato con Renzi alla soppressione, o, peggio ancora, alla ridicolizzazione del Ramo del Parlamento che presiede dall’alto del suo seggio, non è bastato (anche perché quell’operazione è stata sventata dal voto popolare del 4 dicembre) ad assicurargli la continuità del suo “distacco” dalla magistratura alla politica. Mi dicono che Matteo Renzi abbia qualcosa da rimproveragli. Prima o poi si andrà a votare. Se c’è qualcuno la cui permanenza in Parlamento dipenderà dalla “nomina” di chi farà liste e determinerà le precedenze (con l’aria che tira per la “democrazia” delle liste) questi è Grasso. Meglio procurarsi una scialuppa di salvataggio. A Milano, nell’ambiente dei marciatori, potrebbe venire fuori una coalizione o qualcosa del genere, alternativa a Renzi, o della quale Renzi si debba preoccupare.

Meglio, quindi, marciare con quelli là. Con la coda di paglia. Ma mettendo, così, come si suol dire, “le mani avanti”.

Aggiornato il 22 maggio 2017 alle ore 17:44