La finta lotta alla mafia

giovedì 18 maggio 2017


Ci sono dei dati elaborati dallo Svimez che indicano la presenza della mafia, praticamente, su tutto il territorio nazionale, ma con percentuali che liquidano i fiumi di inchiostro usati per scrivere tutti i romanzi sul Sud sempre presentato come territorio esclusivo della malavita organizzata. Questi dati dimostrano, infatti, che il peso mafioso nelle attività imprenditoriali “legali” risultano del 19 per cento del Pil nel centronord e del 14 per cento nelle zone del Sud; ma anche se si parla di attività criminali propriamente “illegali” il primato del Nord si afferma con l’11,5 per cento contro il 6,7 per cento del Sud.

Dati di questo tipo avrebbero dovuto determinare reazioni di allarme della grande stampa nazionale con veri e propri gridi di dolore mentre, al contrario, l’informazione dei “giornaloni” ha scelto di ignorarli facendo calare su di essi un colpevole silenzio. L’allarme avrebbe dovuto essere anche dello Stato che, probabilmente, si sente appagato dalle notizie delle “attività di contrasto” esercitate al Sud dagli apparati all’uopo preposti. Se al Nord, infatti, le inchieste si contano sulle punte delle dita (anche se coinvolgono città come Milano, Torino, Bologna e Roma) e colpiscono direttamente le cosche mafiose trasferitesi su quei territori, al Sud, pur essendo diminuito il peso mafioso, come certificano i dati Svimez, la quantità di operazioni scodellate trimestralmente, è abnorme.

C’è, quindi, qualcosa che non va. O stanno sbagliando al Nord dove ci si limita a fare il minimo indispensabile colpendo i nuclei mafiosi veri e propri, o si sta sbagliando al Sud con inchieste, dai nomi altisonanti, che vengono sfornate a getto continuo e colpiscono quasi sempre gli stessi malviventi, ma vengono “condite” con la presenza di politici, imprenditori e soggetti indicati come appartenenti ad un fantomatico “terzo livello”. In sostanza al Sud si è letteralmente in uno stato di perenne emergenza.

Questa emergenza ha prodotto almeno due tipi di “professionisti dell’antimafia” come li chiamava Leonardo Sciascia: il primo rappresentato da quanti, provenienti dalla società civile, vivono con le sovvenzioni pubbliche, per il loro impegno antimafioso, e resterebbero senza “lavoro” se la mafia scomparisse dai loro orizzonti; e il secondo rappresentato dai magistrati che, poi, sono quelli a cui si riferiva direttamente il grande intellettuale siciliano. I primi pensano alla propria pagnotta, i secondi vogliono cucirsi addosso l’abito degli “esperti” della lotta alla mafia, che serve, eccome se serve, per raggiungere Direzioni nazionali di strutture antimafie, o di Procure di alto prestigio.

Se a questi si aggiungono i Prefetti che gerarchicamente dipendono dal ministero degli Interni che producono “interdittive” e scioglimenti di Consigli comunali effettuati anche se essi erano già stati sciolti, per le dimissioni dei rispettivi sindaci, come Gioia Tauro, Laureana di Borrello e Bova Marina. Il CdM su proposta del ministro dell’Interno ha, quindi, sciolto Consigli comunali già sciolti da diversi mesi (essi avrebbero potuto andare a nuove elezioni con la tornata di giugno senza privare i cittadini degli organi democratici previsti dalla Costituzione).

Ma la voglia di apparire, sommata allo spirito autoritario acquisito nel vecchio Pci ed alla necessità del mantenimento dello status di ministro bravo e capace, è una malattia non facilmente superabile. Tra l’altro, per le “interdittive” non c’è bisogno di prove a sostegno dei provvedimenti che stanno causando un vero e proprio deserto economico, con le chiusure di molteplici attività imprenditoriali e commerciali; e anche per lo scioglimento dei Consigli comunali si colpisce solo la cittadinanza e non chi ha commesso un reato. Si tratta, quindi, di solo “fumo negli occhi” che distoglie l’attenzione dai veri problemi del Paese a partire dal vuoto rappresentato dagli ultimi governi.

Parlare, allora, di falsa lotta alla mafia è il minimo perché essa non determina passi avanti nel contrasto alla delinquenza organizzata, ma consolida, consciamente o inconsciamente, l’immagine di territori di frontiera dove è necessario usare la mano dura e senza risparmio.


di Giovanni Alvaro