Violante: lezione di  filosofia, non di storia

Ho conosciuto Luciano Violante nel 1979, quando fu eletto alla Camera dei deputati con il Partito Comunista.

Giovane Sostituto Procuratore di Torino, era preceduto dalla fama di “magistrato lottatore”. Aveva lottato contro il “golpe”, come allora era di moda tra i “magistrati democratici” prima che imparassero nuove “campagne” da intraprendere e i golpe, a farli. Contro il “golpe” per il quale fu inquisito e arrestato Edgardo Sogno, nobile piemontese liberal-conservatore, medaglia d’oro della Resistenza. Violante era stato denunziato da Sogno per aver falsificato documenti in base ai quali “incastrarlo”. Ma il Giudice Istruttore di Venezia lo aveva assolto perché, questa la motivazione, era così convinto della colpevolezza di Sogno, e così affannato dal gran lavoro per provarlo, sventare il golpe e mettere i colpevoli in condizione di non nuocere, che “gli era proprio sembrato” che una certa lettera, di cui aveva affermato l’esistenza nella richiesta di perquisizione cui seguì l’arresto, ci fosse, mentre invece non c’era.

Mentre i magistrati “imbarcati” dal Pci si iscrivevano al Gruppo della Sinistra Indipendente (che, poi, indipendente non era), Violante si iscrisse al Gruppo comunista e, credo, al partito. O lo fece poco dopo. Ricordo che apprezzai questo fatto (la scelta chiara del Gruppo, non la distrazione sulla lettera). Ho sempre ritenuto Violante persona dotata di una fine intelligenza e di una non comune capacità politica. Più tardi, quando la mia esperienza parlamentare stava per cessare, mi convinsi che era da ritenere Luciano Violante il fondatore del Partito dei Magistrati, se così rilevanti fenomeni hanno qualcuno che se ne può dire “fondatore”.

Fu Violante a condurre il Pci e, al contempo e non senza difficoltà, i suoi oramai ex colleghi magistrati, nelle secche del referendum sulla responsabilità civile, facendoli uscire vincitori, cioè riducendo il tutto a un nulla di fatto, quando pure gli elettori avevano a larghissima maggioranza votato per avere giudici responsabili. Ebbi modo di verificare la complessa e sottile manovra con la quale Violante, presidente della Commissione parlamentare antimafia, impostò la trappola del processo di Palermo a Giulio Andreotti. Per non parlare delle vicende della persecuzione contro Corrado Carnevale, reo di fare il giudice invece che il “lottatore”. Violante riuscì a seguire un po’ tutti i processi che potessero avere rilevanza politica. Quello, cioè, per il ruolo politico della magistratura.

Uomo di idee ampie e di attenzione per i minimi particolari, mostrava capacità che, ho ragione di credere, allarmarono non poco i suoi compagni di partito più di quanto non dovessero allarmare gli altri. È forse per questo che non riuscì a realizzare, dopo essere stato presidente della Camera dei deputati, il disegno di andare a far parte della Corte costituzionale, in cui la sua personalità e capacità si sarebbero immediatamente imposte. Risale ai giorni della sua insistente candidatura alla Corte costituzionale la figura di un Violante “garantista”. Un ruolo che poteva benissimo essere considerato “di necessità”, cioè strumentale al raggiungimento del quorum dei voti necessari per andare alla Consulta. Ma che assai bene e più durevolmente di quanto quell’operazione sfortunata potesse richiedere, gli è evidentemente rimasta addosso, se oggi a riconoscerglielo è persino uno degli indiscussi boss del giustizialismo, Marco Travaglio. A riconoscerglielo e pertanto, a dileggiarlo. Un riconoscimento che vale più della qualificazione accademica del nuovo ruolo, di cui dobbiamo prendere atto sentendo di questa “lectio magistralis”. Del resto la schiera dei “maestri” sorprendenti è sempre essa stessa “sorprendente”.

Ma, mentre c’è sempre da compiacersi che, in mezzo a tanto squallido e sciocco giustizialismo vi sia da prendere atto di una prestigiosa conversione al garantismo (le vie del Signore sono infinite, si diceva una volta) occorre aver presente che termini come “giustizialismo” e “garantismo”, se oggi indicano due posizioni contrapposte, essenziali per ogni analisi di ciò che avviene nel nostro Paese, si tratta di termini che non hanno una “legittimazione”, un significato astrattamente inequivoco per l’elaborazione teorica degli atteggiamenti del pensiero che oramai contraddistinguono. Sono nati dalla polemica contingente, dai fatti, dalla storia recente. Ed è la storia di questi anni che getta sulla conversione di Luciano Violante ombre e riserve che tranquillamente sembra allontani da sé sul piano delle “oggettive” teorie nella sua “lectio magistralis” e in altre meno solenni occasioni. Violante ha assai efficacemente, da par suo, delineato il fenomeno della “giurisdizionalizzazione” dello Stato e, prima ancora, della società e degli atteggiamenti delle folle. Lo ha fatto, certamente, assai meglio di quanto sia riuscito a noi in anni di polemiche, di scritti e discorsi, che mai hanno attinto dignità accademica né riscosso attenzioni e consensi paragonabili a quelli che in così breve tempo ha raccolto l’ex presidente della Camera, ex presidente dell’Antimafia e molti altri ex.

Ma la formulazione teoretica dell’attuale garantismo di Violante è, non solo valida, ma necessaria per superare la storia della sopravvenienza del fenomeno (e della conversione di certi personaggi al riguardo). Senza la storia, senza i fatti, nei quali il ruolo di Violante fu quello che fu e che non può “convertirsi”, sarebbe inconcepibile oggi parlare di Partito dei Magistrati e di degenerazione giurisdizionale e giurisdizionalista della vita politico-istituzionale del Paese. Senza la manovra per trasformare la magistratura da sconfitta in vincitrice della partita nel referendum sulla responsabilità civile, senza l’operazione Commissione Antimafia-Procura di Palermo (Violante-Caselli) per demolire Andreotti; senza la saldatura tra la vecchia “avanguardia” di Magistratura Democratica e il suo “uso alternativo della giustizia” e la parte “corporativa” della magistratura; senza il ruolo della Commissione Antimafia nella stessa “valorizzazione” di un pentito per la persecuzione di un magistrato come Corrado Carnevale (e potremmo continuare); senza la figura “storica” di Luciano Violante, non è possibile concepire il ruolo della magistratura e della giurisdizione quale è oggi in Italia. Nessuna “lectio magistralis” può cancellare la storia né fare di questo problema qualcosa che prescinde dalla storia.

Ben venga, quindi, un Violante teorico dell’esigenza del garantismo e fustigatore della devianza giustizial-giurisdizionalista dello Stato e della politica. Ma la storia, quella che di questo fenomeno è l’essenza, lasciamola fare agli altri, che sappiano farla e ne abbiano, al caso, il coraggio. Che di questo si tratta.

Aggiornato il 27 aprile 2017 alle ore 16:42