Casaleggio, la lezione del commercio di sé

C’è modo e modo di trattare dell’esordio televisivo di uno che, pur facendo di tutto per negarlo, tiene le chiavi di un movimento politico di nome M5S. Un insuperabilmente malizioso Mattia Feltri l’ha definito come “un piccolo delizioso boccone di futuro: ecco che cosa è stato l’esordio in tv di Davide Casaleggio, in attesa che domani si tenga il raduno di Ivrea in ricordo del padre Gianroberto”.

E allora non se ne abbia a male Casaleggio junior (figuriamoci, un politico-pubblicitario con tali antenati, poi) se, nel nostro piccolo, parliamo di commercio - di sé, per soprammercato - ma era ed è soltanto per un inquadramento coerentemente propagandistico della sua figura primariamente - e per la prima volta - televisiva offertaci l’altra sera da Lilli Gruber. Commercio, nel senso etimologico come s’usa nelle riflessioni politiche e non in senso moralistico, come usano invece i suoi aficionados del movimento i quali, in realtà, più che affezionati, sono suoi “dipendenti”, sebbene in speciale modo, anch’esso collegato al concetto di “commercio”, pardon di “e-commerce”.

Innanzitutto il contorno della seance su La7, non per caso ritenuta da non pochi vicina al movimento politico-elettorale che, in Italia, sembra andare per la maggiore ancorché non sappia, e non lo sappiano neppure chi lo vota, dove voglia davvero andare. Un contorno diciamo a senso unico, cioè senza un minimo di contraddittorio che, a dirla tutta, non è davvero il massimo per un talk-show fra i più importanti sulla piazza. Ma tant’è. Il fatto è che raramente s’è assistito a un esordio caratterizzato più dai “non so” che dagli “adesso vi spiego”, come s’addice appunto all’erede di una Piattaforma-Rete che è molto, molto di più di quanto indichi il nome, e nonostante che tutta l’atmosfera intorno al debuttante aiutasse all’eloquio parlare, circonfusa com’era di un certo non so che di ammirato consenso, dal quale sembrava contagiata, qua e là, la stessa conduttrice.

Ognuno fa quel che vuole in tivù, figuriamoci una scafatissima professionista come Lilli, peraltro non aliena a quella politica di cui è stata parlamentare. Per certi aspetti ha scritto molto acutamente Malaguti su “La Stampa”, “presumibilmente Davide Casaleggio è una persona incline a forti emozioni, certamente è poco dotato nel comunicarle. Da questo punto di vista è come suo padre Gianroberto, però con meno carisma”. Meno carisma, indubbiamente, ma anche più vuoti, più vaghezza, più lamentele per il tecnicismo di certe domande, molta astensione pensosa su proposte concrete, maggiore forza nell’attacco ai nemici di turno (Matteo Renzi in primis), così, tanto per non entrare in media res, cioè nel dare soddisfazione alle tante curiosità che il “suo” movimento suscita in tutti noi, non fosse altro perché sembra, dico sembra, alle soglie del potere. E per fortuna che qualcosa dalla bocca cucita è venuto fuori, qualcosa come il cambiamento: dalla Casaleggio Associati alla Piattaforma Rousseau, che non è affatto un cambiamento, ma la continuazione e con maggiore forza e puntualità rispetto agli aficionados in assorta ammirazione (per ora).

La vaghezza, dicevamo. Ora, così tanto per dirne una, la Piattaforma Rousseau, che è in sostanza un algoritmo, così come è adattata e adottata nel M5S altro non è che il luogo dove si raggruppano le leggi in generale e, in particolare, quelle del gruppo, che vengono quindi selezionate e, se del caso, portate infine all’attenzione-approvazione del Parlamento. Mica male, vero? Ma non fa solo questo la mitica piattaforma, ci mancherebbe. La “Rousseau”, intitolata non certamente a un cultore del pensiero liberale ma del suo contrario e mal gliene incolse, si occupa della conoscenza, della scelta primaria e infine della selezione degli uomini destinati a fare politica nel movimento, a rappresentarlo e, per chi li vota, a rappresentarli. È, diciamocelo francamente, un luogo del potere reale, una specie di comitato centrale ma anche di direzione nazionale con segreteria esecutiva incorporata, probiviri compresi. Solo che questo impressionante aggregato di potere viene chiamato algoritmo e all’interno di quella che è ormai una leggenda: la Rete. Che, ovviamente, decide su tutto e su tutti, a meno che non la sostituisca nei casi eccezionali il lider maximo, magari cacciando a calci (metaforici) nel sedere uno che a Genova ha vinto con successo le primarie, ma che aveva (ahimè) un piccolo difetto: non rispondeva alle norme dell’algoritmo in quel giorno, guarda caso, sussunto da Grillo. E meno male che alla Lilli è scappata la felice espressione del “rischio spottone” per questo nuovo che avanza. Nuovo?

Aggiornato il 27 aprile 2017 alle ore 17:27