Minniti: il ministro poco left style

Lo abbiamo detto già in altre occasioni: questo ministro dell’Interno, per come si muove, non ci dispiace affatto. Fatta la dovuta tara sulla qualità complessiva dell’azione di governo che risente delle poche diottrie di cui dispone la politica complessiva della sinistra, l’approccio di Marco Minniti ai problemi della sicurezza appare pragmatico e convincente. Una cosa di certo il ministro del Gabinetto Gentiloni l’ha compresa: la lotta al terrorismo islamico o è globale e la si fa tutti insieme o non è.

Forse anche per rafforzare questa visione d’insieme che Minniti si è trovato a far visita all’omologo russo Vladimir Kolokoltsev e al segretario del Consiglio di Sicurezza della federazione russa, Nikolai Patrushev, proprio all’indomani dell’attentato jihadista alla metropolitana di San Pietroburgo. Si è trattata di una coincidenza perché l’incontro era già fissato da tempo. Purtuttavia è stata l’occasione per ribadire che, nonostante tutto, il sistema politico italiano non si è lasciato totalmente trascinare in un’assurda disputa guelfi-ghibellini con la Russia di Putin, ma ha tenuto prudentemente le porte aperte al dialogo e alla collaborazione che, nel caso della lotta al terrorismo, costituiscono il rimedio più efficace alla minaccia dell’integralismo islamico.

Minniti ha tenuto a ribadire il concetto affermando che: “Bisogna aumentare la collaborazione antiterrorismo”. Amen! È chiaro che, messe da parte le gelosie di mestiere, si deve favorire lo scambio d’informazioni sui movimenti dei soggetti sospettati di radicalizzazione. Il vulnus che ha colpito la sicurezza di alcuni grandi Paesi europei nel contrasto preventivo all’azione dei terroristi è stato proprio il basso livello di collaborazione delle intelligence. Si sarebbero potute evitare le morti di Parigi o di Bruxelles? Probabilmente no, ma contenerne maggiormente l’impatto sarebbe stato possibile grazie a una sinergia delle forze di sicurezza che monitorano i potenziali killer, ciascuna in casa propria.

Ora, se Minniti, piuttosto che fare spallucce ai responsabili dell’ordine pubblico della Federazione russa si è preso la briga di andare a chiedere chiarimenti sulla dinamica dell’attentato alla metropolitana e, soprattutto, sul retroterra etnico-religioso nel quale è maturata e ha preso forma l’azione terroristica, ha fatto benissimo: ci si difende meglio conoscendo il nemico da vicino, ovunque si manifesti e colpisca. Che non si tratti di un’ossessione parossistica lo conferma il contenuto di un messaggio audio che il portavoce dell’Is, Abul-Hasan Al-Muhajir, ha inviato a tutti i combattenti islamici sparsi nel mondo affinché rechino morte e distruzione in Europa, Russia e Stati Uniti. Più chiaro di così? Le fiaccolate del giorno dopo, a cadaveri ancora caldi, commuovono ma non risolvono: la parola chiave è “prevenzione”. Minniti pare l’abbia ben compreso e si muove di conseguenza senza farsi troppo condizionare dai “caveat” emanati dai padroni del vapore europeo contro i vicini russi.

La cosa che francamente stupisce, però, è la scarsa copertura mediatica riservata all’evento. Perché i media nostrani hanno lasciato scivolare la notizia in coda, preferendo notizie prive di consistenza come, ad esempio, le dichiarazioni della signora Federica Mogherini, Alto rappresentante della politica estera (che non c’è) dell’Unione europea, sui crimini di guerra perpetrati in Siria oppure come gli annunci delle improbabili “missioni” internazionali del grillino Luigi Di Maio? Non è forse che questo ministro dell’Interno non piaccia poi tanto a certa sinistra buonista che lo sospetta di un approccio troppo di destra alle politiche della sicurezza e della tenuta dell’ordine pubblico? Se fosse vero sarebbe la riprova della veridicità di quella boutade secondo la quale “per fare sane politiche di destra occorrono governi di sinistra”. Sarà pure vero, ma non facciamoci prendere la mano perché di Minniti ce n’è uno, tutti gli altri fan... Pd e dintorni.

Aggiornato il 08 maggio 2017 alle ore 13:12