Mafia o infrastrutture bloccano il Meridione?

Ieri mattina, ascoltando la trasmissione “Radio anch’io” condotta dalla brava Ilaria Sotis e incentrata sul decreto per il Mezzogiorno, recentemente approvato dalla Camera dei deputati, mi è scattata l’esigenza di intervenire in trasmissione sia perché c’era come un invito agli imprenditori a voler investire nel Sud ma, anche, perché c’era il solito razzismo nordico nei confronti della parte meridionale del Paese, sintetizzato da un intervento di un torinese (forse l’ennesimo emigrato al Nord). Al nostro (forse) ex meridionale neo piemontese (ma non è stato il solo) che considera le nostre terre infestate solo da criminalità organizzata (mafia, ‘ndrangheta, camorra e sacra corona unita) e dilapidatrici di migliaia di miliardi di investimenti mal utilizzati, ha risposto durante la trasmissione Adriano Giannola, nella qualità di presidente dello Svimez, citando gli ultimi dati sul peso mafioso nelle attività imprenditoriali legali che risultano al 19 per cento del Pil al Nord e al 14 per cento al Sud, e dell’11,5 al Nord e del 6,7% al Sud per le attività criminali propriamente illegali. E questo significa che la mafia non alberga solo nel Sud ma è attratta dalle zone più economicamente forti. La differenza col Nord sta, quindi, principalmente nelle infrastrutture.

I suddetti dati, quindi, liquidano i luoghi comuni con cui abbiamo convissuto in questi anni e per i quali si è sviluppato, nel Nord, “un odio tipicamente razzista” contro le popolazioni che vivono nell’ex Regno delle Due Sicilie mentre, in esse, ha trovato terreno fertile soprattutto l’antimafia di professione, il protagonismo di molti magistrati e il ruolo delle Prefetture con le famose interdittive con le quali, prescindendo dalle reali responsabilità dei singoli, si bloccano attività imprenditoriali, soprattutto nell’edilizia e nel commercio, distruggendo la già asfittica economia delle città.

Ma anche la critica per il decreto Mezzogiorno che destina il 34 per cento degli investimenti ordinari al Sud non è un “regalo” ma, semmai, è il riequilibrio di una corretta ripartizione, calcolata in base alla popolazione, che a conti fatti (sostiene la Sotis) se fosse stata inserita nel 2009 avrebbe ridotto della metà il calo del Pil meridionale che anziché essere del -10,7 per cento sarebbe stato del -5,4 per cento e l’occupazione sarebbe diminuita di poco più di 200mila unità anziché del mezzo milione registrato. Il 34 per cento degli investimenti ordinari destinato al Sud, a partire dal 2018, dovrebbe essere la base alla quale aggiungere le quote del Fondo Sviluppo e Coesione e i Fondi strutturali europei. In sostanza, finora il Sud è stato fortemente penalizzato perché i fondi aggiuntivi erano diventati sostitutivi.

Ma alla domanda iniziale, posta nella trasmissione: “Che interesse possono avere gli imprenditori per investire al Sud?”, sorvolando su chi, come Matteo Renzi, parlava di banda larga come panacea di ogni male, nella trasmissione, almeno, si è parlato di “Zone Economiche Speciali” che sono importanti ma non più delle infrastrutture, tanto che sono stato spinto a intervenire nella discussione chiedendo, a mia volta: “Ma se l’Alta Velocità si ferma a Salerno; se l’autostrada, malgrado i proclami renziani, resta l’eterna incompiuta; se un’opera che libererebbe dall’isolamento totale la Sicilia, come il Ponte, la si continua ad osteggiare; se anche l’Alitalia abbandona Reggio Calabria, come si può parlare di investimenti privati nel profondo Sud?”.

Se lo facessero sarebbero di certo pazzi incoscienti, a caccia magari di sgravi e contributi statali, ben sapendo che farlo condannerebbe le proprie merci a non usufruire dei tempi concorrenziali cosa che già avviene con gli agricoltori e i turisti che hanno bisogno d’infrastrutture al passo con i tempi.

Aggiornato il 08 maggio 2017 alle ore 13:21