Scuola e storie di ordinaria sharia

La vicenda della ragazza del Bangladesh residente a Bologna, rasata dai genitori perché non voleva portare il velo islamico, è una storia che può stupire solo chi con la realtà ha scarsi contatti. Per tutti gli altri, e soprattutto per chi frequenta il mondo della scuola (docenti, studenti e genitori, bidelli e collaboratori), altro non è che una storia già vista e sentita. Una storia di ordinaria sharia.

Nei quartieri periferici della stessa Bologna, dove la percentuale di stranieri nelle aule scolastiche sfiora il 50-60 per cento degli alunni, succede quotidianamente anche di peggio: ragazzine pachistane che da un giorno all’altro “spariscono” dagli elenchi dell’appello perché rispedite in patria a sposare uomini molto più vecchi di loro e mai visti prima. Giovani donne del Bangladesh che al compimento del sedicesimo anno, quando cade l’obbligo di istruzione, vengono costrette dai genitori a lasciare la scuola perché, in quanto donne, hanno studiato fin troppo. Ragazze (sempre loro, le ragazze) che arrivano alle 7,50 bardate come per entrare in moschea e poi si scoprono, si truccano, ridono e scherzano con i compagni. E si ricoprono e sprofondano sotto un velo nero alle 13, prima di tornare a casa propria. Studentesse che saluti a giugno con un sorriso e discreti risultati e ritrovi a settembre retrocesse nell’uso della lingua, oppresse dalla tristezza infinita e dall’umiliazione di dover trascorrere l’intera estate chiuse tra le mure domestiche, autorizzate a parlare solo con la madre e i fratelli.

La scuola italiana è piena di questi casi. Nelle periferie, negli istituti professionali. Ogni giorno presidi, professori e alunni sfiorano la vita di queste studentesse, spesso troppo impaurite per chiedere aiuto. A volte un insegnante volenteroso chiama il servizio sociale. Chiede un controllo. La risposta? Se la famiglia non è segnalata non si può fare nulla. Se poi la giovane frequenta regolarmente l’istituto non c’è alcun margine per intervenire, bisogna aspettare che venga commesso un reato. Nel frattempo la ragazzina viene forzata e rimpatriare? Viene considerata alla stregua di un oggetto da un padre-padrone che la priva di ogni libertà? Non è sufficiente.

La bambina rasata a Bologna è stata tolta alla famiglia e affidata a una comunità perché ha subito una violenza fisica. Ha avuto fortuna. Perché è questo che chiede lo Stato per fermare quegli oppressori che guardano ai figli come una proprietà: i lividi e le botte. La sharia non basta.

Aggiornato il 08 maggio 2017 alle ore 13:35