Non è la nostra Europa, ma è quella loro

Chissà perché e per quale misteriosa fatalità l’Europa, dalla mitologia all’attualità politica, è destinata a circondarsi di tranelli. Non si contano, infatti, le bugie che dicono per intimorirci e spingerci a credere in questa Europa come fosse l’unica possibile. Del resto, la prima delle falsità è quella di voler convincere la gente a identificare il senso dell’Europa con l’Unione europea e con l’Euro. L’Europa, storicamente, geograficamente e culturalmente non nasce con l’Ue e meno che mai con l’Euro. Nella mitologia greca “Europa” era una ninfa così bella da affascinare Giove al punto da volerla far sua a ogni costo, tanto è vero che il capo dell’Olimpo per riuscirci dovette ricorrere a un tranello. Giove, infatti, si tramutò in un meraviglioso giovane torello e con la scusa di portarla a spasso la convinse a salire in groppa, riuscendo così a rapirla per sempre. È riconosciuto universalmente, inoltre, che il concetto di Europa, almeno in senso geopolitico, si possa in qualche modo ricondurre a Carlo Magno e al Sacro Romano Impero.

Tralasciando ora per brevità tutti i passaggi storici che ci hanno portato ai giorni nostri, è chiaro dunque che l’Europa non sia affatto figlia né di Maastricht né dell’Euro, tantomeno della Banca centrale europea. L’Ue dei Trattati è, al contrario, il parto di un’operazione politico-economica pensata, studiata e voluta da alcuni, Germania e Francia in testa, per trarne vantaggi in termini di dominio finanziario e potere contrattuale.

Insomma, per farla breve l’Europa che viviamo è lontana anni luce da quella del “Manifesto di Ventotene” di Altiero Spinelli, Ernesto Rossi e Ursula Hirshmann, da quella di Benedetto Croce, di Luigi Einaudi, ma anche di Winston Churchill, Robert Schuman e Jean Monnet. Quell’Europa, infatti, non solo nasceva in contesti completamente diversi, ma presupponeva, secondo il metodo funzionale adottato, tempi e passaggi misurati per tappe e soprattutto si rivolgeva al vantaggio dei popoli, per costruire un futuro di pace e benessere condiviso. Non era insomma l’Europa dello spread, dei rating, del calibro delle mele e delle quote latte, quella del sogno originario, ma un consesso focalizzato sulle istanze dei cittadini a partire dal lavoro, dalla solidarietà e dalla libertà.

Oggi, al contrario, queste istanze nel pensiero Ue vengono stigmatizzate e derubricate a populismo becero e pericoloso e il paradosso e l’ipocrisia sono tali da considerarle un rischio anziché fondamentale fonte di democrazia. Insomma, il popolo non conta, è piuttosto rozzo, si esprime con la pancia e non con la testa, segue le emozioni e non la ragione e tutti quelli che cercano di offrirgli rappresentanza sono una minaccia alla democrazia. Siamo al paradosso, alla contraddizione in termini, alla bugia e alla falsificazione della realtà, tanto è vero che la frattura fra Ue e cittadini, fra politica ed elettori, amministrazione e amministrati è sempre più grande. Del resto, il vento contrario a questa Europa e a questi Trattati cresce progressivamente proprio perché la gente sempre più si rende conto degli imbrogli e dei vizi all’origine della moneta unica e del suo impianto. Nessuno, infatti, sa spiegare come mai a quindici anni dall’inizio dell’Euro e dei suoi vincoli, solo la Germania si sia fatta d’oro mentre gli altri, compresi i Paesi che non hanno il debito italiano, sono peggiorati. Come se non bastasse, la crisi economica e l’esplosione del fenomeno migratorio hanno fatto il resto, mettendo in luce inequivocabilmente gli egoismi, gli opportunismi e i vantaggi su misura alla base di quest’Europa. Le diverse velocità, i gruppi di testa e di coda, concordati il venticinque marzo a Roma, sono dunque solo l’ultimo escamotage, l’ultimo tranello per nascondere un fallimento.

C’è un vizio d’origine, un’ipocrisia iniziale, perché non può essere una moneta e un mucchio di obblighi a unire un continente segnato da diversità storiche, economiche, politiche e sociali. Insomma, si sono fatti un’Europa per loro, tagliata su misura per le esigenze e le necessità dei forti, delle lobby, dei gruppi di potere, perciò hanno imposto la perdita di sovranità e autonomia. Ecco perché i popoli protestano e rivendicano il diritto di scegliersi il futuro; l’Euro è in discussione e le divisioni aumentano.

Occorre ripartire da zero, da una confederazione di Stati sovrani ma solidali, autonomi ma fratelli, liberi ma vicini, diversi ma collegati da principi condivisi e non da una valuta. Solo così sarà l’Europa di tutti, altruista e generosa, forte e democratica, unita ma distinta. Altrimenti resterà un inganno, un’illusione, un gioco pericoloso ed effimero.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:45