Il travaglio dei liberali, l’irrilevanza del Pli e le prospettive

martedì 21 marzo 2017


Caro direttore, affido a te questa mia lettera perché sei un punto di riferimento per i liberali italiani e questo giornale è indubbiamente un pezzo della storia del miglior Partito Liberale, e ne fu organo ufficiale quando ancora in questo Paese i liberali avevano un peso e un ruolo. Vorrei sollecitare una tua riflessione sull’annoso travaglio dei liberali in questo Paese portando una testimonianza personale.

Mesi fa, alla ricerca di una casa politica ove sviluppare con ancora maggiore incisività la nostra azione a difesa dei contribuenti produttivi, mi sono avvicinato al Partito Liberale Italiano, ritenendolo il luogo naturale dove portare avanti le iniziative e le proposte che abbiamo già da tempo messo in campo. Mi chiedevo come mai fossimo divenuti il più statalista tra i Paesi occidentali, perché i produttori italiani fossero trattati da presunti evasori e prostrati di fronte a un fisco oppressivo e violento. Perché mai la nostra economia fosse ferma, col pil che annaspa e con la montagna di debito pubblico che ci soffoca ogni giorno di più.

Con questo spirito ho aderito al Pli, coinvolgendo tanti amici, pieno di entusiasmo e di speranza, consapevole anche della congiuntura e del vuoto politico che un partito liberale, oggi più di ieri, ha l’opportunità (almeno in parte) di colmare. Dopo aver frequentato e sostenuto per qualche mese il Partito Liberale Italiano ho ricevuto una prima risposta a questi interrogativi, accompagnata, però, dalla bruciante delusione di non aver trovato la chiave politica per risolverli, ma tutt’altro. Ho potuto constatare come da vent’anni quel che doveva essere il Partito di tutti i liberali ha avuto come segretario e oggi ha come presidente sempre lui, il signor Stefano de Luca, classe 1942 (nella foto) che, attraverso la sua lunghissima conduzione, ha reso inesistente l’azione del partito, oggi ridotto all’irrilevanza politica e istituzionale, assente col proprio simbolo e con la lista in quasi tutti i comuni che andranno al voto a maggio, perfino nella sua Palermo.

L’assenza di una leadership illuminata e aperta del Partito Liberale ha reso, a sua volta, impossibile dare un’adeguata rappresentanza parlamentare ai ceti produttivi italiani e inibito lo sviluppo economico del Paese su una piattaforma di regole liberali e liberiste. Ho avuto, cioè, la netta sensazione che è proprio sul vertice del Partito Liberale Italiano degli ultimi vent’anni che grava una pesante responsabilità politica e storica per aver dimostrato l’incapacità di contrastare, almeno in parte, lo stato di prostrazione nel quale noi liberali siamo stati ricacciati e con noi le libertà economiche e i diritti dei contribuenti.

Il presidente de Luca, in primis, che è il massimo responsabile di questa situazione - oggettiva e riscontrabile dai numeri e dai dati elettorali - dovrebbe finalmente prendere atto di questa realtà e avere il coraggio, una volta per tutte, di fare un passo indietro; ma invece continua a restare lì abbarbicato al comando di qualcosa che ha ridotto a una piccola associazione ininfluente. Ho potuto constatare come, nonostante questo sostanziale fallimento politico, egli utilizzi il pugno di ferro, bollando qualsiasi forma di aperto dissenso come una “opa ostile al partito”. Un modo di contrastare il dissenso - che è invece rivolto alla sua linea e non al partito - aberrante e illiberale, in base al quale chiunque abbia cercato di contrastare l’azione politica del “capo” è stato fatto passare come ostile al Partito Liberale, mentre invece - lungi dall’essere pregiudizialmente ostile a lui e al suo operato - senza neanche immaginarlo, rappresentava una minaccia per il suo ruolo dominante e per la sua miope conduzione, adoperandosi, al contrario, come hanno fatto in molti, nel nobile tentativo di liberare e rilanciare il Partito Liberale da questa agonia ventennale, nell’interesse di tutti i liberali italiani.

In vista del congresso nazionale - rinviato di mese in mese e senza un valido motivo - vi è, da parte dell’attuale vertice del Pli, addirittura il tentativo di riconfermare l’attuale conduzione e condire il tutto solo con un’operazioncina di palazzo, magari in tinta rosa, in perfetta continuità con lo stile della peggior Prima Repubblica. Ho saputo che sarebbero in corso perfino provvedimenti di esclusione di centinaia di iscrizioni e l’avvio di un procedimento disciplinare, il tutto riconducibile a un giovane dirigente del partito, reo, non a caso, di aver provato a sfidare l’attuale dirigenza esprimendo un forte dissenso e la volontà di candidarsi alla segreteria nazionale.

Tutto ciò, pur non sfiorando minimamente il sottoscritto e coloro che lo hanno seguito, rende tuttavia opaca la delicata fase precongressuale e crea un clima per me inaccettabile. Questo modus operandi è l’esatto contrario di quello che mi aspettavo e che ritengo debba fare un partito che si professa liberale e aperto. Una situazione ingessata, asfissiante divenuta per me insopportabile. A questo punto non ho potuto fare altro che andarmene dal Pli, così come hanno fatto già tanti liberali in passato, invitando coloro che ho coinvolto a seguirmi per non perdere altro tempo prezioso in un binario politicamente morto. Non molleremo di un centimetro il nostro impegno, ma ricercheremo altri interlocutori più credibili e capaci. Caro direttore, mi rimane tuttavia una profonda amarezza per la condizione dei liberali italiani, così mortificati, il cui travaglio sembra non aver mai fine, ma di certo non rialzeremo la testa con questo Pli che ha toccato il punto più basso della sua storia ed è infilato purtroppo in un vicolo cieco.

Mi rivolgo a te, perché credo sia il momento di costruire qualcosa di nuovo e dare delle prospettive politiche alla frammentata area liberale italiana. Serve un nuovo contenitore che sappia superare le delusioni del passato, non solo quella storica dell’ultimo Pli, ma anche la più effervescente esperienza di “Fare per fermare il declino”, la cui forza si è spenta e la mancata rivoluzione liberale di Silvio Berlusconi che non riesce a trovare nuova linfa vitale.


di Andrea Bernaudo