Promesse da marinaio a popolo di navigatori

Da Mario Monti a Paolo Gentiloni, passando per Enrico Letta e soprattutto Matteo Renzi, solo promesse, sbrasate e tonnellate d’ipocrisia politica e intellettuale.

Insomma, promesse da marinaio in un Paese di navigatori che da qualche tempo ha iniziato a ribellarsi alla mediocrità, all’ambiguità e all’arroganza della classe politica. Gli ipocriti lo chiamano “populismo”, chiamano così il fenomeno della presa di coscienza dei cittadini di non volersi più far prendere in giro e trattare da sudditi. Insomma, secondo loro per non essere populista la società civile, reale, la gente, avrebbe dovuto continuare a tacere, ad accettare supinamente, a non esprimere dissenso verso la politica.

Per farla breve, da Monti a Gentiloni, gli italiani avrebbero dovuto far finta di non vedere quattro Premier non eletti, non sentire le promesse disattese, non reagire alle batoste fiscali. Non avendolo fatto e scegliendo al contrario di protestare contro l’invasione d’immigrati, il crollo della sicurezza, la persecuzione fiscale, la trascuratezza per i terremotati, è scattata la parola magica: “populismo”. Come se non bastasse, visto che la protesta si rivolge con forza anche all’Europa, ai Trattati e all’Euro, apriti cielo.

Il soccorso cattocomunista, clericale e falso bigotto, è scattato come una molla per strillare e far strillare dall’informazione compiacente, al pericolo populista, sovranista, razzista delle destre intolleranti. Insomma, i soloni dei governi e delle maggioranze di questi anni, fanno a gara a minacciare contro il rischio della gente che stanca degli abusi, protesta. Fanno a gara perché per loro gli scandali e gli sprechi non contano, l’invasione di sconosciuti ovunque non conta, la disoccupazione non conta, l’imbroglio dell’Europa non conta. Non conta nemmeno un fisco persecutorio e ossessivo, l’assurdità della Legge Fornero, non contano i privilegi delle pensioni d’oro.

Per le maggioranze e i governi che si sono succeduti dal 2011 a oggi, non conta nemmeno che l’Italia stia peggio di tutte, che al referendum di dicembre gli italiani hanno detto qualcosa. Secondo loro, comprese le più alte cariche dello Stato, il “No” è stato un semplice incidente di percorso, dunque tanto vale far finta di niente, per questo non ci fanno votare. Per la classe dirigente il sentimento popolare, o è a favore, oppure è un fastidio, un rischio, un populismo di destra pericoloso, roba da matti.

Non solo non sanno fare autocritica e le performance di Renzi al Lingotto lo testimoniano, ma vorrebbero una cittadinanza silente e acefala. Silente verso gli scandali, i disservizi, la malagiustizia, silente verso la persecuzione fiscale e verso la barca di miliardi che si spendono ingiustamente. Insomma, la protesta, la critica, il disappunto, la voglia di cambiare è populismo, la peggiore delle devianze sociali. Non vogliono capire che le pensioni d’oro sono un assurdo del diritto, un’ingiustizia sociale e contabile, così come i super stipendi dei manager e i vitalizi. Non vogliono capire che il mantenimento in vita di decine di enti, aziende, organismi inutili e decotti, è antieconomico e iniquo. Non vogliono capire infine che insistere nel tartassare, punire chi si difende dalla criminalità, trascurare gli italiani e mantenere i clandestini, è scriteriato e insopportabile.

In buona sostanza non vogliono capire che la corda si sta spezzando e anni e anni di scandali, terrorismo fiscale, privilegi di casta e disservizi, hanno corroso la fiducia e la pazienza sociale. Ecco perché la gente non ne può più, altro che populismo, è la reazione alle bugie, alle promesse, alle cartelle pazze, alla lentezza della giustizia, alla disoccupazione, all’insicurezza. È la reazione a Mafia Capitale, Expo, Mose, Monte dei Paschi di Siena, la reazione ai bonus elettorali, a Mare nostrum, al calibro delle mele, alla lunghezza dei cetrioli e alle quote latte. La reazione, infine, a una serie di tasse aggiuntive per compensare gli sperperi e i buchi di bilancio, altro che populismo. È la voglia di normalità, libertà, certezza della pena, la voglia di una politica che rispetti la cosa pubblica e il senso laico dell’amor patrio. Lo chiamassero pure populismo, ma dietro c’è la voce di milioni e milioni di persone, di tutte le estrazioni e professioni, fede e convinzioni, età e cultura. È il mondo che cambia, la società che cambia, la collettività che riflette e giudica, è la conseguenza della cecità, arroganza, ipocrisia di una classe dirigente egoista e incapace.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:43