La Fnsi insorge contro il garantismo di Renzi

martedì 14 marzo 2017


Dal Lingotto è andata in onda, puntuale e con toni tutt’altro che interlocutori, un’altra puntata dello scontro che ciclicamente contrappone mondo giornalistico e settori della politica più sensibili alle preoccupazioni ed esigenze garantiste di indagati e imputati. Con una premessa d’obbligo: un certo retrogusto amaro per il fatto che sia stato l’ex segretario del Partito Democratico ed ex Presidente del Consiglio Matteo Renzi ad invocare con irruenza il garantismo e la sacrosanta tutela degli indagati dalle spericolate intromissioni mediatiche così avvezze alla celebrazione di una giustizia virtuale parallela pronta a pronunciare sentenze di colpevolezza anticipate e sovrapposta a quella penale che, invece, nel rispetto delle regole della civiltà giuridica, procede ad accertare reati e responsabilità dei singoli e arriva a sentenza in un’aula di tribunale.

C’è poco da fare, l’attenzione alle garanzie e diritti di chi si trova indagato è più facile che riprenda vigore quando le vicende procedimentali investono da vicino e l’indagine che sta coinvolgendo il ministro Luca Lotti ed il padre di Renzi giustifica di per sé la difesa dell’ex premier di una “giustizia giusta che celebra i processi nei tribunali”.

In passato, a ben vedere, l’ex premier non si è certo applicato, defilandosi qb, per scoraggiare orientamenti legislativi in materia di giustizia penale frutto e causa di confusione tra quella che lui stesso ora reclama come giustizia giusta e un concetto di legalità erroneamente incardinato sulla corsa alla repressione e su scelte (il “fine prescrizione mai” o l’estensione del processo a distanza contenuti nel ddl sul processo penale in attesa di approvazione sono soltanto due esempi) calibrate solo sulle attese di rassicurazione collettiva.

L’uso politico-populistico della legge penale l’ha fatta da padrone per la semplice ragione che è politicamente più redditizia in materia di giustizia un’azione legislativa repressiva quindi “efficace”. Dunque l’impeto mostrato da Renzi dal palco del Lingotto un tantino stride. Ma tant’è, come era prevedibile, le dichiarazioni iniziali dell’ex premier sulla necessità di una stretta sulla pubblicazione degli avvisi di garanzia, poi neutralizzate dal Guardasigilli Andrea Orlando che ha ripiegato su una più opportunistica (per lui e la sua corsa alla segreteria del Pd) sollecitazione a “contenere il clamore dei processi”, hanno immediatamente allertato la Federazione nazionale della stampa italiana (Fnsi). In replica al botta e risposta tra i due sfidanti per la guida del Pd, impegnati a modulare le reciproche posizioni su avvisi di garanzia ed intercettazioni, la Fnsi non ha tardato a farsi sentire secondo un copione noto negli ultimi anni. E a cui in alcune occasioni passate sarebbe stato meglio non assistere alle prese di posizione di alcuni esponenti della categoria, per la violenza con cui nel calderone degli argomenti a difesa del diritto di cronaca sono finite anche ostentate insofferenze e inaccettabili quanto pesantissime accuse a carico di chi esercita l’imprescindibile funzione della difesa, che è uno dei capisaldi della nostra Carta costituzionale (articoli 24 e 111), della nostra legge penale nonché istituto tutelato da convenzioni internazionali. Un diritto inviolabile, insomma, quello alla difesa in ogni parte del procedimento.

Ma torniamo alla polemica attuale, il cui protagonista è sempre il sacro terrore di misure restrittive per giornali e giornalisti. “Nessuno pensi di risolvere i problemi della giustizia penale e della tutela del segreto istruttorio – scrivono Raffaele Lorusso e Giuseppe Giulietti – con l’introduzione di bavagli alla stampa”. La riapertura del dibattito su intercettazioni e avvisi di garanzia, dunque, questo l’avvertimento, non sia un alibi per mettere un bavaglio al diritto di cronaca. Ormai è un fiacco tormentone che si ripete ogni volta che, in presenza di vicende giudiziarie di richiamo mediatico o con forti implicazioni politiche, entrano in conflitto il diritto di cronaca da una parte e le garanzie e i diritti dei protagonisti più deboli di tutto lo scenario procedimentale che sono gli imputati, per i quali non soltanto - è bene ripeterlo - vige la presunzione di non colpevolezza fino a sentenza definitiva, ma a tutela della cui dignità personale, sia la Costituzione sia il Codice di Procedura penale, quindi la legge, sia gli ordinamenti giuridici e le convenzioni europee prevedono articoli, norme e principi molto precisi.

Certo, su un punto la posizione della Fnsi è condivisibile: “Non tocca ai giornalisti mantenere il riserbo sulle notizie coperte da segreto istruttorio. Se si vuole evitare la fuga di notizie, bisogna agire su chi, per dovere d’ufficio oltre che per legge, è obbligato a non rivelare le notizie coperte da segreto”. Tanto più considerando che anche le sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo stabiliscono il dovere dei giornalisti di pubblicare le notizie di cui vengono in possesso, anche se coperte da segreto, ogni qualvolta esiste una rilevanza pubblica delle stesse perché è diritto dei cittadini esserne informati. Tutto verissimo. Contare sullo scrupolo o sulla coscienza quando di chi opera nei media se si ha a disposizione una notizia è ovviamente impossibile. Non rimarrebbe, allora, che rispettare e magari far rispettare le regole poste a tutela della dignità del cittadino indagato. Ora a non rispettarle per primi sono spessissimo le procure e la polizia giudiziaria. Con una responsabilità in più, però, da parte dei pubblici ministeri che, di fronte all’irrompere nella prassi giudiziaria penale di media tanto spregiudicatamente proni a quella che il professor Ennio Amodio ha felicemente definito “retorica colpevolista”, non aprono nemmeno i fascicoli in tutti quei casi in cui c’è violazione del divieto di pubblicazione di atti e immagini e obbligo di segnalazione degli illeciti disciplinari all’Ordine dei giornalisti. Così come prevedono gli articoli 114 e 115 del Cpp. E se poi, nell’oceanica mole di forzature, torsioni e aberrazioni patite dal sistema della giustizia penale anche a causa della prassi della maggior parte della cronaca giudiziaria e che vanno affrontate, iniziassimo a ragionare anche sul significato di giornalismo di inchiesta ridotto sovente a pubblicazione di informazioni riservate illegalmente con la solita prassi della fuga di notizie sulle inchieste, piuttosto che ad incoraggiare e provocare le indagini? Ed è rendere un buon servizio informativo all’opinione pubblica offrirgli quelle informazioni che rappresentano soltanto il teorema della pubblica accusa o non rappresenta piuttosto un vulnus nell’accertamento della verità e nella costruzione delle prove la cui sede legittima è il contraddittorio tra l’accusa e la difesa? Forse Renzi e i garantisti del suo governo come dell’Esecutivo guidato da Paolo Gentiloni, invece di rincorrere avrebbero dovuto mostrare una volontà molto più ferma di tutelare garanzie e diritti di indagati e imputati, e una determinazione assente nei confronti dei settori più invadenti e determinati della magistratura nel dettare l’agenda politica in materia di giustizia penale. Se esiste l’evidenza della prova...


di Barbara Alessandrini