L’orizzonte europeo

Per spiegare il fenomeno fisico della rifrazione con un modello meccanico, possiamo usare l’esempio di un’automobile, la quale, procedendo su una strada asfaltata, a un certo punto mette due ruote oltre il ciglio stradale coperto di sabbia. Le ruote nella sabbia cominciano a girare a una velocità più bassa rispetto a quelle sull’asfalto, cosicché l’automobile cambia direzione, perché le ruote, a seconda del fondo, vanno a “due velocità” diverse tra loro. Il concetto delle “due velocità” è diventato molto popolare anche sotto l’aspetto politico, perché in questi giorni se n’è parlato come rimedio alla crisi in cui è immersa l’Unione europea.

La quale rischia, sia che rimanga così com’è, sia che assuma una struttura a due velocità, di cambiare direzione. E tra le varie traiettorie non è da escludere una netta inversione di marcia, la quale potrebbe portarne alla dissoluzione del progetto di integrazione europea. I quattro più grandi Paesi dell’Unione europea, Italia, Francia, Germania e Spagna, per bocca dei loro capi di governo hanno capito che il momento è estremamente delicato. Reso tale non solo da una crisi economica che è stata la più dura dai tempi del Dopoguerra, ma anche da un populismo montante, che promette sicurezza a tutti attraverso il ritorno alle vecchie sovranità nazionali. Fatte di confini certi, poco porosi e “ornati” di muri, se questo dovesse dare una serenità maggiore alla gente.

Tra chi esce dall’Unione (Gran Bretagna). Chi alza nuove muraglie del ventunesimo oltreoceano (Trump). Chi si prende pezzi di altre nazioni (Putin), i Paesi europei si trovano stretti anche da pressioni esterne non proprio confortanti, le quali richiedono una “massa critica” di un certo peso per bilanciarle. Per salvare il progetto europeo, si è pensato a una integrazione a velocità differenziate, perché la composizione attuale dell’architettura dell’Unione sta rendendo i passaggi troppo lenti, tanto da farne risultare offuscata la meta. E si è deciso di iniziare da uno dei capisaldi di qualsiasi “corpo statuale”: la difesa comune.

Il sistema “funzionalista”, voluto e pensato da Monnet, in base al quale si sarebbero dovute staccare piccoli pezzi alla volta di sovranità ai singoli stati, pare essere in sofferenza; per la riluttanza degli stati stessi a cedere prerogative e poteri. L’Unione europea è sempre rimasta un'organizzazione internazionale politica ed economica a carattere sovranazionale, che comprende 28 Paesi membri indipendenti e democratici. Mai una vera federazione. Tanto è vero che, fin dai suoi albori, si è sottolineato che gli stati nazionali hanno pensato di arrivare ad una costruzione istituzionale tale da garantirgli di applicare “Smith all’estero e Keynes in patria”.

Sappiamo come è andata e sta andando, consci che molti problemi esistono, e che qualcosa vada rivisto.

Qualcuno parla di una “rivisitazione” del Trattato di Maastricht, del “Fiscal compact” o del vincolo del 3 per cento. Altri propongono di porre l’accento su una Europa più sociale; quella del welfare migliore del mondo, che l’ha fatta diventare un unicum planetario per giustizia sociale e uguaglianza. E che cerchi di smarcarsi dal dogma neoliberista imperate, il quale pare chiedere sacrifici continui in nome della “stabilità”. La vicenda della Grecia, inoltre, non ha erto aiutato l’immagine di un’Europa solidale; capace di coniugare il rigore etico dei conti, con la giusta solidarietà nei confronti di un popolo che, allo stato dei fatti, è stato costretto a vivere in una situazione di enorme indigenza. Però, qualche mito va sfatato. Qualche storiella raccontata dai populisti da megafono andrebbe presa per quella che è: ovvero, pura propaganda negativa fatta pro domo propria.

A qualcuno andrebbe ricordato che i cari Stati-Nazione, durante tutto il Novecento, ci hanno portato a due guerre mondiali, 70 milioni di morti e un genocidio. E che da quando esiste un embrione di Europa Unita, questo non c’è più stato. Come ricordato dai Radicali italiani, nonostante gli allarmi antiaerei tenuti sempre accesi dalle varie Le Pen, oggi l’Unione europea è il primo mercato al mondo. I redditi pro-capite dei suoi cittadini sono i più alti del pianeta. Sul nostro territorio si rispettano la dignità umana, la libertà individuale, la democrazia, l’uguaglianza, lo stato di diritto, i diritti umani. Abbiamo costruito uno spazio di tolleranza, pluralismo e non discriminazione. Poco? Non direi, visti i precedenti.

Chi vede nell’Euro solo una disgrazia, dovrebbe avere il coraggio di dire cosa sarebbe successo se la valuta dell’Italia (la stessa Italia che perde, non da ora, potenza industriale e ha una differenza territoriale tra Nord e Sud del Paese che continua ad allargarsi) fosse stata la lira. Buona per essere svalutata al fine di ottenere delle boccate di ossigeno attraverso le esportazioni, ma non una garanzia di stabilità contro le speculazioni.

Basterà un’Europa a due velocità per un rilancio del progetto sognato e articolato da Spinelli? Non si sa, ma si dovrebbe sperarlo. Senza continuare a procedere per “convergenze parallele” che stanno portando alla deriva. Un modo coraggioso ed “eretico” per cambiare passo, sarebbe quello di cambiare linguaggio, prospettiva e orizzonte. Rimettendo in circolo una parola importante: federalismo. Come ricordato da Luigi Einaudi in un suo articolo (“Il mito dello stato sovrano”), gli Stati Uniti d’America sono vissuti sotto due costituzioni. “La prima disposta dal Congresso del 1776 e approvata dagli Stati nel febbraio 1781, la seconda approvata dalla convenzione nazionale il 17 settembre 1787 ed entrata in vigore nel 1788. Sotto la prima l’unione nuovissima minacciò ben presto di dissolversi; sotto la seconda gli Stati Uniti divennero giganti. Ma la prima parlava di confederazione ed unione dei 13 Stati […] e dichiarava che ogni Stato conserva la sua sovranità, la sua libertà ed indipendenza ed ogni potere, giurisdizione e diritto non espressamente delegati a governo federale. La seconda invece non parlava più di unione tra Stati sovrani, non era più un accordo tra governi indipendenti; ma derivava da un atto di volontà di un intero popolo, il quale creava un nuovo Stato diverso e superiore agli antichi Stati […]. Ecco sostituito al contratto, all’accordo fra Stati sovrani per regolare alcune materie di interesse comune, l’atto di sovranità del popolo americano tutto intero. […]. La radice del male stava nella sovranità e nell’indipendenza dei 13 Stati”.

È questa la strada che dovrebbero segnare i più importanti Paesi d’Europa, per aprire un nuovo orizzonte, una nuova sfida verso un federalismo, che, come diceva uno dei suoi massimi studiosi, Hendrik Brugmans, “ha la pretesa di apportare soluzioni concrete per problemi concreti che dobbiamo risolvere ad ogni costo”.

Aggiornato il 07 aprile 2017 alle ore 18:10