È nato un Paese per vecchi

L’Istat ha pubblicato il report sugli indicatori demografici relativi al 2016. C’è poco da stare allegri: le cose vanno malissimo. La fotografia che ci restituisce l’indagine effettuata dall’Istituto di statistica è quella di un Paese vecchio e in crisi di natalità. Più stranieri residenti e meno italiani in condizioni di assicurare un futuro alla nazione. La situazione è paragonabile al destino della dorsale appenninica: un sisma continuo che gradatamente fa abbassare le montagne.

Al 1 gennaio 2017 i residenti in Italia sono 60 milioni 579mila, 86mila in meno rispetto allo scorso anno. Di costoro, 55 milioni 551mila sono italiani, il resto stranieri. Rispetto all’anno precedente aumentano del 12,6 per cento i connazionali che fuggono all’estero (115mila). E aumentano gli immigrati di 258mila unità. I nuovi nati del 2016 sono stati 474mila: un record in negativo. Si vive più a lungo ma muoiono più individui di quanto ne nascano. Gli over 65 rappresentano il 22,3 per cento della popolazione totale che registra un’età media di 44,9 anni, di due decimi superiore a quella dello scorso anno. Si fanno meno figli anche a causa del calo delle donne in età feconda. Ma se la media di fecondità per le italiane scende a 1,27 figli per donna, per le extracomunitarie residenti quella media sale a 1,95. Cosa si ricava da questa gragnuola di numeri? Semplicemente che se si prosegue su questa china tra qualche decennio ci saranno 15 milioni di italiani in meno all’appello. Con chi allora si pensa di fare l’Italia che verrà? La risolviamo reclutando immigrati da utilizzare come macchine riproduttive?

Se questa è l’idea di chi ci governa, siamo fritti. Si cala di numero perché non si attuano serie politiche d’incentivi alle famiglie. Si vedono meno culle perché non c’è lavoro stabile per i giovani. Non è che ci si annoia a procreare: mettere al mondo dei figli allo stato attuale è un azzardo. Lo dicono i numeri: si cresce di più in natalità dove migliori sono le condizioni di vita. Non è un caso se la classifica della maggiore natalità ponga alle prime posizioni le Province autonome di Trento e Bolzano, mentre le regioni messe peggio sono la Basilicata, il Molise e la Sicilia. A meno di abbracciare strane teorie sull’esuberanza dei valligiani dell’Alto-Adige, è del tutto evidente che la differenza la faccia la migliore qualità della vita delle persone e delle comunità locali. A sentire le anime belle della sinistra, il problema avrebbe soltanto una ricaduta economica. “Chi sosterrà il welfare se ci saranno meno occupati in grado di pagare i contributi previdenziali?”: sembrerebbe questa l’unica preoccupazione. Invece, sarebbe giusto preoccuparsi d’altro. Calo demografico non significa necessariamente perdita di prodotto interno lordo, mentre è di certo perdita d’identità. Con milioni di italiani in meno si rischia di smarrire il colossale patrimonio di competenze, d’esperienza, di tradizioni, di cultura, di valori che nell’insieme concorrono a delineare il tratto identitario di un popolo. Non ci si può arrendere così, allargando le braccia e dicendo: meno male che ci sono gli immigrati.

Questa deriva ideologica che cela un criminogeno disegno multiculturalista va arrestata e sconfitta. I corifei dei media di regime si sperticano nell’elogiare quei sindaci degli sperduti paeselli delle aree interne ritratti a benedire gli arrivi degli stranieri. “Grazie ai nuovi arrivati - essi dicono nei messaggi trasmessi a reti unificate - si ripopolano i centri antichi in stato d’abbandono e si tengono aperte le scuole che altrimenti verrebbero chiuse per mancanza di alunni”. Ma c’è proprio bisogno di andare a prendere dall’Africa le braccia e le menti necessarie per far ripartire la vita nei piccoli centri dell’entroterra? Ci sono tanti italiani che hanno perso tutto: casa, lavoro, dignità. Perché non pensare a un grande piano di ripopolamento delle aree interne offrendo opportunità abitative e sostegno sociale agli ultimi del nostro Paese? Provate a ridare un tetto e un lavoro a chi non c’è l’ha e vedrete se poi non gli ritorna pure la voglia di fare figli.

Aggiornato il 07 aprile 2017 alle ore 18:03