Sovranismo e Stato borghese

In un’epoca di globalizzazione sembra curioso assistere a una ripresa della sovranità e alla nascita di formazioni politiche che si definiscono, con un neologismo, sovraniste. Ma non è così: dialetticamente è stata la globalizzazione la levatrice della rinascita dell’esigenza di sovranità. In primo luogo perché i popoli si sono accorti di essere sempre meno padroni del loro destino. La volontà dei governanti come dei governati incontra crescenti limiti, condizionamenti e raggiri. Scriveva Vittorio Emanuele Orlando che la sovranità o è assoluta o non è: sopportare limiti significa semplicemente non essere sovrani, quindi non poter progettare e soprattutto determinare il destino della comunità.

Le cause di ciò sono molteplici, alcune attinenti alla potenza, altre al diritto. Quanto alle prime è sempre attuale il giudizio di Spinoza per cui tantum juris quantum potentiae: nessuno può pretendere il diritto di fare ciò che non ha il potere di realizzare. E, quale conseguenza, che ogni pretesa giuridica è condizionata dalla potenza effettiva. Nella situazione successiva alla Seconda guerra mondiale, il principale differenziale di potenza tra i popoli è stato di poter condurre guerre di sterminio (con le bombe atomiche) o no. Il possesso di tali strumenti è stato decisivo per organizzare il mondo sviluppato in due campi contrapposti, guidati dalle superpotenze che per prime avevano avuto la disponibilità di terrificanti arsenali atomici. A ciò si è aggiunto lo sviluppo di un diritto internazionale con livelli di decisione sovranazionali, che si è concretizzato non solo nelle grandi alleanze, costituitesi intorno al duopolio Usa/Urss (Nato, Seato, Patto di Varsavia), ma nella crescente diffusione di Tribunali internazionali: rose che, frequentemente ispirate da esigenze commendevoli, hanno comunque le spine di limitare comunque poteri e competenze interne, e quindi di rendere permeabili (giuridicamente e giudiziariamente) le frontiere. Che è poi quanto succede - di fatto - per le migrazioni di massa; le frontiere sono, in teoria, impermeabili, ma l’ideologia della globalizzazione tende a rendere impalpabili i confini concreti e, giuridicamente, la distinzione essenziale già nella dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, tra pretese del cittadino e dell’uomo. La richiesta di concedere la cittadinanza in base allo ius soli invece che allo ius sanguinis, ne è la manifestazione più evidente (anche se non l’unica). Il tutto tende a dissolvere la Nazione che, come scriveva Ernest Renan, è costituita da uomini uniti da un insieme di appartenenze, esperienze, consuetudini comuni e dalla volontà di continuare ad esistere e vivere insieme.

Una sovranità e uno Stato democratico presuppongono l’omogeneità dei cittadini, ancor più di uno Stato in cui sovrano sia un monarca o un’aristocrazia. La storia lo ha provato tante volte: l’ultima, sul finire del secolo scorso, è stata l’implosione dei regimi comunisti e in particolare dell’Unione Sovietica. Questa, finché era una dittatura sovrana di una oligarchia di “illuminati” dal sapere ideologico marxista-leninista, ha potuto tenere insieme un impero costituito da popoli, religioni ed etnie differenti. La fine del partito comunista e la scelta della democrazia ha comportato, allo stesso tempo, la dissoluzione dell’Unione in tanti Stati, caratterizzati da un tasso di omogeneità interna sicuramente e di gran lunga superiore a quello dell’Unione dissolta.

Su questa base l’alternativa tra sovranità (democratica) e globalizzazione è radicale, perché si basa non su convenzioni giuridiche ma su dati fattuali: si può (forse) fare uno Stato mondiale, purché non sia una democrazia. In mancanza di un “tasso d’omogeneità” reale e sentito tale, lo Stato mondiale democratico finirebbe assai presto in frantumi: probabilmente assai più in fretta dell’Unione Sovietica. E infatti la globalizzazione è per sua natura non democratica. Si basa su una concezione dell’uomo, tendenzialmente limitata all’uomo economico, e non sulla qualità (e lo status) di cittadino. Nel mondo globale si partecipa non all’esercizio di poteri sovrani, e neppure a funzioni pubbliche, ma al consumo, alla produzione, al capitale, alla fruizione di prestazioni pubbliche ma in posizione rigidamente passiva. Il globalizzato è l’uomo che non partecipa (per definizione) a funzioni pubbliche, l’idiótes delle democrazie greche. D’altra parte, ogni ideologia cosmopolita è per natura opposta al sentimento identitario degli Stati (ma anche delle comunità locali).

La rinascita del sentimento identitario, avverso la quale è in corso un processo di demonizzazione mediatica, non è accostabile tanto al nazionalismo aggressivo della fine del XIX e del XX secolo, quello per intenderci che parte da Corridoni per finire con Rosenberg, molto diverso da quello di Sieyès o di Mazzini (tra gli altri). Quest’ultimo si basava sulla comunità di citoyens che, proprio perché tali, esercitavano determinati diritti e doveri inerenti al relativo status di cittadini, diversi da quelli riconosciuti a tutti gli uomini, non appartenenti alla comunità (questi ultimi prevalentemente di carattere “privato” quanto i primi pubblico). Non aveva carattere aggressivo né xenofobo. In effetti questa è l’essenza della libertà politica nel senso più antico, ossia come libertà di una collettività umana di decidere autonomamente l’ordinamento della propria esistenza politica, economica e sociale.

Quindi la sovranità dei sovranisti è una sovranità di difesa e non di offesa; è figlia della “prima fase” dello Stato borghese. Ad un nemico che si espande e domina con mezzi mediatici ed economici, con commoventi discorsi sui diritti dell’uomo e con le lusinghe – per la verità sempre più evanescenti – di un benessere crescente, va opposto qualcosa che si rifà all’altro polo della rivoluzione borghese. Questa coniuga indipendenza nazionale e libertà individuale; diritti dell’uomo e diritti del cittadino: il polo “politico” costituito dal carattere democratico (e indipendente) dell’istituzione statale dà forma (e protezione) alla comunità nazionale (e ai diritti relativi). La quale, come rispetta l’indipendenza degli altri popoli, chiede non tanto agli altri popoli, ma ai globalizzatori, che non conculchino la propria.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:45