Quella toga “appesa” di Michele Emiliano

Perché Michele Emiliano non ha ancora deciso di dimettersi da magistrato? Non crede in se stesso come politico? Si sente la toga addosso come caratteristica indelebile alla stregua della tonaca per i sacerdoti? È semplicemente pigrizia mentale?

Con la scissione alle porte c’è un misterioso fantasma che si aggira per il Nazareno: quello delle mancate dimissioni di Emiliano dall’ordine giudiziario. Un’aspettativa lunga circa 13 anni. Da quando diventò sindaco a Bari e in seguito presidente della Regione Puglia. Peraltro sempre con brillanti risultati politici.

Ma quella toga rimasta a mezz’aria ha iniziato a creare problemi seri. Tanto che al Consiglio superiore della magistratura sin dal 2014 si sono chiesti: “Ma cosa aspetta ancora?”. E nel frattempo hanno mandato avanti in automatico un fascicolo della disciplinare che lo riguarda. Con la prossima udienza fissata ad aprile e la scorsa tenutasi il 6 febbraio.

Il procuratore generale della Cassazione, nel rinvio a giudizio disciplinare, usa anche toni un po’ troppo duri, data la apparente bonarietà un po’ pacioccona del politico Emiliano. “È iscritto al Partito Democratico, partecipa alla vita di quel partito in forma sistematica e continuativa”. Ma, visto che è ancora un magistrato, “ha compiuto un illecito disciplinare, perché ha violato la norma che vieta alle toghe di fare vita attiva nelle formazioni partitiche”. Vieta addirittura di iscriversi. Cosa che tempo addietro fu contestata anche ad Antonio Ingroia. Che in realtà il partito cui aveva aderito era quello personale fondato da lui. Emiliano è abbastanza criticato nel Pd per questa storia. Che, dai contorni un po’ leziosi che la accompagna (al Csm certo non sembrano avere fretta di chiuderla), la fa assomigliare a una dimenticanza trasformatasi in pigrizia negli anni e poi in punto di principio un po’ malinteso. Perché Emiliano in varie dichiarazioni a giornali e tivù locali ha sempre tenuto questa linea di difesa: “Sono l’unico magistrato nella storia della Repubblica italiana eletto democraticamente dal popolo come presidente della Regione al quale la Procura generale della Cassazione contesta l’iscrizione a un partito politico, nonostante non svolga le funzioni di magistrato da 13 anni causa l’espletamento di mandato elettorale”.

Poi la possibile ratio delle mancate dimissioni: “In questi 13 anni ho sempre fatto politica all’interno di formazioni politiche assimilabili a partiti politici, prima liste civiche e poi nel Pd a partire dal 2007. L’ho fatto fin dall’inizio richiedendo l’aspettativa, anche se la legge non mi obbligava a farlo. L’aspettativa serviva a far cessare l’esercizio delle funzioni ed a rispettare il divieto di iscrizione ai partiti per i magistrati. Ho avuto per questo un blocco di carriera che avrei evitato se avessi scelto di rimanere in servizio come la legge mi consentiva”. Una presa di posizione che potrebbe essere formalmente ineccepibile, dal lato burocratico, ma che forse potrebbe creare un reazione ostile in seno alla disciplinare. Ad aprile si vedrà.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:45