Indifferenza alla morte   L’Italia segue l’Europa

In Italia s’aggira un demone dall’apparente volto umano. Il buon diavolo giustifica l’indifferenza che spande per il Paese come atteggiamento responsabile, utile a meglio integrarsi in Europa. Il demone sta forgiando il nuovo diffuso senso comune del Vecchio Continente: ovvero indifferenza al suicidio e consenso verso eutanasia e pena capitale. Qualche Solone (e ne contiamo sempre troppi) ribatterà che i concetti di Europa e di morte si sono sempre coniugati, favorendo vette letterarie impensabili per i nuovi mondi anglosassoni. Un po’ come Gustav “von” Aschenbach, personaggio di Thomas Mann in “Morte a Venezia”, che ha interamente dedicato l’esistenza alla propria arte, concretando la propria ascesi con una morte preceduta dall’innamoramento efebico. Che bell’affresco decadente!

Intanto la “gente inutile” (l’uomo della strada) si domanda: “Ma come, in Europa si chiede diminuisca la pressione demografica e poi s’aprono le frontiere a chiunque?”. Nel quadro europeo denaro e lavoro assumono per i poteri forti il ruolo di una manna con cui bagnare i cosiddetti normalizzati, ovvero chi accetta di buon grado di essere servo cibernetico della gleba. Così a gran parte dei disoccupati non viene nemmeno concesso d’integrarsi come “servo della gleba”. Ma capita anche che un trentenne si suicidi, e prima del gesto scriva una lettera che punta il dito contro la classe dirigente italiana ed europea. Le statistiche solo in parte rimbalzano sulle cronache di provincia, parlano ormai di 1,5 suicidi al giorno: giorni fa è toccato a una signora di 53 anni in difficoltà e ancora in Liguria un ragazzo pressato dai problemi familiari. Ma la politica va avanti e con sguardo altezzoso non si cura dei miserabili che ormai sono troppi.

È evidente che per il “gruppo ristretto Ue” il denaro rappresenti solo una potente arma di potere e controllo. Così qualcuno si domanda se il ristretto gruppo non voglia sostituire l’europeo disoccupato e indigente con un extracomunitario addomesticabile, che di buon grado accetterebbe un sistema non democratico pur di vivere in una capitale consumistica come Parigi, Berlino o Roma.

Per garantire l’estinzione dei socialmente esclusi in Italia e in Europa, lo Stato finge di non sentire il grido di disperazione dei disoccupati, parimenti s’insinua subdolamente l’idea dell’eutanasia per motivi economici. Ciliegina sulla torta è che certi caldeggiano la reintroduzione della pena di morte per contrastare il terrorismo.

E sembra che obiettivo non tanto celato di certe politiche sia proprio costruire spazi che permettano d’isolare i socialmente esclusi. Fino a tre anni fa i detenuti condannati all’ergastolo in Italia erano 1500: un regime carcerario che non prevede né permessi né sconti di pena, “fine pena mai”. Ma il loro numero aumenta ogni anno. La tendenza dei giudici è comminare il carcere a vita per i crimini più efferati: quando la scelta è tra i 30 anni di carcere e l’ergastolo, oggi si propende per la seconda soluzione. Va detto che chi ha scontato trent’anni difficilmente si potrebbe reinserire nell’attuale tessuto sociale, finendo ai margini o tra le maglie di un sempre più aggressivo sistema criminale. Di fatto l’Unione europea è per un miglioramento delle condizioni di vita nelle carceri ma, purtroppo, anche per un incremento delle pene da scontare in detenzione: ergo, l’Ue vede di buon occhio che aumentino i ristretti, soprattutto nei Paesi della fascia mediterranea, considerati nel Nord Europa a forte rischio criminale.

La tendenza che si conferma un po’ in tutta l’Ue è la scelta detentiva, anche per reati lievi che un tempo prevedevano un percorso di reinserimento, o che il condannato continuasse il proprio lavoro col vincolo di pernottamento nel penitenziario. La tendenza alla reclusione piace all’Ue, che considera il carcere utile a contenere lo strabordante numero di disoccupati che si danno al crimine. Ma che l’Unione europea sia orientata verso il riempire le carceri e, almeno sulla carta, la reintroduzione della pena di morte non lo si deve certo alle politiche dell’ungherese Orban o alle pressioni della Le Pen. La “pena di morte” è stata introdotta nel Trattato di Lisbona del 2010 a seguito di uno studio della Commissione europea sull’incremento dei crimini e suoi eventuali deterrenti. Il problema di una sua reintroduzione era stato sollevato per la prima volta da un giurista tedesco, Karl Albrecht Schachtschneider, durante una sua lezione sulla “Carta di Nizza” del 2007. Il Trattato di Lisbona è entrato in vigore il primo dicembre del 2009, ratificato da tutti gli Stati membri dell’Ue: modifica ed integra due precedenti trattati (il Trattato sull’Unione europea, o Tue, ed il Trattato che istituisce la Comunità europea), apportando sostanziali modifiche all’ordinamento. Ma, fortunati noi, la pena di morte è rimasta monca, e nessuno ha ancora sollecitato l’applicazione della reintroduzione da parte dei Paesi membri. Perché potesse tornare la ghigliottina, è stato modificato l’articolo 6 del Tue, e nella parte che prevede la “salvaguardia dei Diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali”.

Di fatto l’Unione europea sta orientandosi verso scelte liberticide, e non si comprende come queste possano conciliarsi con la storia europea degli ultimi sessant’anni. Certo, chi migra da Paesi del Terzo e Quarto Mondo, o fugge da guerre e dittature, considera questi come aspetti marginali. Per tutti gli altri il passo indietro è evidente, e c’è tanta paura di finire nelle maglie pressappochiste della giustizia. Insomma, lo spirito europeo non è più quello dei padri fondatori, ed oggi ci parla d’indifferenza verso il suicidio e di desiderio di morte.

A conti fatti, se gran parte dei disoccupati si suicidassero o chiedessero la “dolce morte” a spese dello Stato (come sperano gli oltranzisti olandesi dell’eutanasia) e nel frattempo tornasse la pena di morte... in un decennio l’Europa tornerebbe a trovarsi nelle stesse condizioni demografiche di fine Ottocento. E dove sarebbe la svolta? Soprattutto diamo in pasto all’opinione pubblica i nomi di chi subdolamente insinua queste idee, ma anche dei tanti di potere indifferenti al suicidio, al bisogno.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:43