Siamo tutti istriani!

“Siamo tutti istriani!”. Così Indro Montanelli titolava su “Il Giornale” del 30 settembre 1975 il suo atto d’accusa contro il Governo che aveva firmato la resa ai comunisti jugoslavi rinunciando definitivamente a rivendicare i territori giuliano-dalmati, caduti proditoriamente in mani nemiche sul finire della seconda guerra mondiale. Quella vergogna assoluta è il “Trattato di Osimo”. Erano passati trent’anni dalla catastrofe bellica.

L’Italia degli anni Settanta non era poi tanto debole come lo era la patria spezzata dalla guerra e dal nazifascismo. Non c’era nulla da farsi perdonare, soprattutto dai comunisti titini. Era invece giunto il momento che fosse l’Italia a presentare il conto alla Storia per quel genocidio, rimosso dalla coscienza collettiva, compiuto dalle bande comuniste jugoslave tra il 1943 e il 1946 in danno degli italiani della regione giuliano-dalmata. Una pulizia etnica in grande stile scandita a suon di omicidi, violenze, saccheggi, stupri, torture, esecuzioni di massa. E poi le foibe: i buchi neri della pietà umana. Decine di migliaia di morti ammazzati, centinaia di migliaia di perseguitati costretti a fuggire dalle proprie case per disperdersi nel mondo, ovunque trovassero conforto e ospitalità. Beni confiscati, storie familiari cancellate, cimiteri devastati perché nulla restasse della presenza italiana in quelle antiche terre: neanche la memoria. Tutto ciò avveniva sotto gli occhi indifferenti delle potenze alleate che tenevano a mantenere tranquillo il boia sovietico, compiacendo i suoi sgherri nei Balcani. Era il 1946 e si poteva comprendere la frustrazione della nuova classe dirigente chiamata a risollevare un Paese messo in ginocchio dalla sconfitta bellica. Ma nel 1975 le cose sarebbero dovute andare diversamente.

Anche allora l’Italia baciò l’oltraggiosa mano dell’usurpatore. Il Presidente del Consiglio era Aldo Moro, il Ministro degli Esteri Mariano Rumor. La firma del Trattato con il quale si riconosceva alla Jugoslavia la sovranità sulla Zona B, costituita con gli Accordi di Pace del 1946, avvenne il 10 novembre 1975 nel castello di Osimo: in segreto, perché si temeva il giusto sdegno popolare. Il governo di Roma rivendicava, a giustificazione del tradimento, la clausola n. 4 del Trattato che prevedeva “un indennizzo globale e forfettario equo e accettabile dalle due parti” per i beni illegalmente espropriati agli italiani giuliano-dalmati dai comunisti jugoslavi in violazione della legislazione internazionale a protezione dei cittadini dei territori occupati.

Ma se lo scippo dell’Istria e della Dalmazia era concreto, le promesse d’indennizzo erano aria fritta, placebo per un popolo ingannato. E rimasero tali anche quando nel 1992 si modificò il Trattato consentendo alle neo-costituite repubbliche di Slovenia e di Croazia di subentrare negli accordi in luogo della defunta Jugoslavia. In quell’occasione toccava ai nostri politici aggiustare le cose, giocando la carta dell’interdizione che l’Italia avrebbe potuto esercitare sulle speranze dei nuovi Stati di essere ammessi nell’Unione europea. Non se ne fece niente. Si tacque. Il contentino arrivò nel 2004 con l’approvazione della legge istitutiva della giornata del Ricordo per le vittime delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata. Così i superstiti di quella immane tragedia avrebbero avuto il loro “10 febbraio” di consolazione. Fu il Governo Berlusconi il 30 marzo 2004 a varare il provvedimento di legge n. 92. Meglio che niente, visto che fino ad allora l’argomento era stato tabù.

Di foibe non si poteva parlare perché urtava la sensibilità delle anime candide del Partito Comunista Italiano. Non si doveva ricordare che il grande Partito della “questione morale” aveva fatto il filo per quarant’anni e oltre agli assassini della sponda titina, che la causa dei massacratori d’italiani innocenti era stata la loro stessa causa. Si è dovuto aspettare che il comunismo venisse dichiarato morto e sepolto per far passare senza traumi una legge tutto sommato innocua. Giusto per ristabilire un po’ di verità, visto che ai mammasantissima del pensiero egemone di sinistra era concesso il più smaccato negazionismo, fino al rovesciamento plateale della verità. D’altro canto è anche così che si fa la storia: mentendo. E di tutto quel dolore mai sopito, di tutta quella giustizia negata cosa resta ai sopravvissuti? “Un’insegna metallica in acciaio brunito e smalto, con la scritta ‘La Repubblica ricorda’” e una giornata per ricordare. E amen.

Aggiornato il 07 aprile 2017 alle ore 17:56