Nel ricordo   di Ernesto Rossi

Diciamoci la verità. Tirano brutti venti per le idee ed i valori di Ernesto Rossi (intellettuale antifascista, economista, teorico politico, fondatore del Partito Radicale, coscienza critica del nostro Novecento). Libertà, dinamicità sociale, apertura alle differenze culturali, economiche, sociali, integrazione europea: le loro quotazioni sono - purtroppo - in caduta libera. E’ quindi un anniversario amaro questo cinquantesimo dalla scomparsa di Rossi, che potrebbe facilmente velarsi di mestizia e di una vena rinunciataria. Se non fosse che proprio da “Esto”, da uno che guai (e che guai) per causa di libertà ne ha passati, ci vengono parole di speranza, di esortazione all’impegno, di resistenza. E allora è con quelle parole, con una sua lettera dal carcere (dove era finito per opposizione al regime) che vogliamo ricordarlo, con la speranza e l’impegno che le sue righe, il suo esempio, non restino solo sulla carta. Buona lettura.

Dal carcere di Roma (20-5-1938).

Mia mamma carissima [...]

Mi dici che ami sempre più gli animali quanto più aumenta il disprezzo per il tuo prossimo. Io sono, credo, ancor più pessimista di te sulla natura degli uomini. Ma non sono un misantropo e non trovo giustificato il disprezzo per la comunità in generale. L’uomo è pur sempre, per me, l’oggetto del mio interessamento più vivo e la sorgente delle più pure e più alte soddisfazioni. Anche quando studio una qualsiasi scienza, è lo spirito umano che mi interessa innanzi tutto, e che ammiro nei suoi sforzi per elaborare strumenti sempre più perfetti di conoscenza e per abbracciare con una interpretazione razionale campi sempre più vasti dell’universo. Basterebbe anche la sola mia conoscenza elementare della matematica per impedirmi di disprezzare gli uomini. Vermiciattoli meschini, che basta un alito di vento per rigettare nel nulla, tormentati da mille malanni e da mille cure repugnanti, agitati continuamente dalla febbre delle loro passioni e dalle loro ambizioni, ma han saputo costruire pietra su pietra un edificio così armonico e perfetto in tutte le sue parti, le cui guglie si innalzano su, su, fino a perdersi, più sottili di un filo di luce, nell’altezza dell’infinito. Il lavoro continua ininterrotto dal tempo dei tempi e quando uno cade un altro prende il suo posto, senza domandare in che paese quello era nato, senza odorare se gli arnesi che quello ha lasciato puzzan di eretico o di cristiano. Han costruito non come un ponte, non come una casa per l’utilità che ne poteva derivare, ma solo per il piacere di costruire una casa bella, per soddisfare il loro desiderio di perfetta armonia, che nel mondo delle cose rimaneva sempre necessariamente inappagato; senza pensare a quel che poteva servire di fronte alla morte inevitabile. E cosa sono i milioni di molluschi e di imbecilli che formano le folle plaudenti e schiamazzanti a comando, in confronto a un solo uomo, a un Tolstòj? Tolstòj parla, e tu dimentichi i milioni di imbecilli e di molluschi, quei milioni che facevano tanto baccano svaniscono, non esistono più e ti senti contento di essere uomo, di avere un’anima in cui risuona la sua parola d’amore. Dove sono tutti i benpensanti, i pisciafreddo, i cacastecchi, che ti compatiscono perché non sai vivere, perché non ti preoccupi, come loro, di farti una certa posizione, quando, leggendo il diario del capitano Scott, lo vedi come ti fosse presente, ultimo superstite fra i compagni assiderati, scrivere penosamente, con le dita già irrigidite dalla morte, la relazione finale della sua sventurata ed eroica spedizione, perché sia d’incitamento e di esempio a chi dovrà venire dopo di lui? Che importa se gli imbecilli, i molluschi, i farabutti sian tanti e tanti e prevalgano nella vita ed abbian successo? Gli uomini non si contan per capi come il bestiame da vendere, ed il successo niente prova nel mondo del pensiero. E non solo ci possiamo sempre consolare guardando a quel che lo spirito umano ha creato nel campo delle scienze e delle arti, e guardando ai nostri eroi nel passato, ma si è sicuri, quando non si viva una vita gretta, priva di ogni luce ideale, di incontrare sulla nostra stessa strada, alla ricerca del giusto e del vero, altri uomini di carne come noi, mossi dalla nostra stessa ansia, in cui ci è possibile riconoscere dei fratelli in senso molto diverso, molto più profondo, di quanto ci sia possibile con le altre creature. Ed anche se dopo l’incontro ci si divide e non ci si ritrova mai più, il ricordo di quando ci siamo guardati negli occhi, di quando ci siamo stretti la mano con fiducia completa, ci sostiene, ci dà forza e coraggio quando ci sentiamo troppo disgustati e stanchi per la malvagità e la bestialità trionfante [...].

Ti abbraccio, tuo Esto

(*) Direttore del Centro Studi “Gaetano Salvemini

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:44