“Peggior difetto del Pd? La sua classe dirigente”

Un dialogo tra neuroscienza e politica. Uno sguardo alla libertà umana e un duro attacco alla classe dirigente del Partito Democratico. La ricetta per battere il populismo e per permettere al centrosinistra di riconquistare la fiducia dei più deboli. Achille Occhetto ripercorre gli ultimi venti anni di riformismo ricordando battaglie vicine e lontane. La svolta della Bolognina, la nascita del Pds e il tradimento del progetto iniziale dopo le sue dimissioni: “Coloro che hanno preso in mano la direzione del partito dopo il mio addio hanno sposato un nuovo agire politico arrivando a compromessi e a inciuci che hanno progressivamente degradato la funzione del partito”.

Cosa racconta nel suo ultimo saggio “Pensieri di un ottuagenario. Alla ricerca della libertà dell’uomo”, edito da Sellerio?

Sono partito dalle ultime scoperte nel campo delle neuroscienze secondo cui, prima di arrivare a una scelta consapevole, le nostre “celluline grigie” prendono delle decisioni.

Ce ne può parlare?

Giù secoli fa un grande filosofo, Baruch Spinoza, aveva detto che il nostro corpo prendeva decisioni prima di noi stessi attraverso una catena di impulsi e di conseguenze logiche. Era una filosofia che si poteva prendere o lasciare, ma oggi è diverso. Oggi è la scienza a dircelo. Ci troviamo di fronte a degli esperimenti di laboratorio e, una volta compreso quanto scoperto, mi sono spaventato.

Addio libero arbitrio?

Esatto. Che ne sarà del nostro senso di colpa, dei meriti, della nostra volontà individuale e collettiva? Così ho deciso di prendere la lampada di Diogene in mano e di partire alla ricerca della libertà nell’uomo.

Questo saggio parla anche di politica?

Sì. La riflessione politica è collegata a questo tema: la ricerca del rapporto tra libertà e necessità. A seconda se noi diamo maggior peso al libero arbitrio o ai condizionamenti, si hanno delle visioni politiche diverse. Chi tende a dare un peso assoluto alla libera volontà di ciascuno tendenzialmente ha una visione volontarista legata al darwinismo sociale, alla concorrenza, alla competizione selvaggia e a una cultura dei vincitori, cosa che sta producendo molti danni.

Questione di prospettiva. Come evitare il peggio secondo lei?

Bisognerebbe insegnare nelle scuole fin dai primi anni che è meglio perdere con le proprie idee, che vincere con le idee degli altri. Se si capisce tutto il peso che hanno i condizionamenti sociali famigliari, economici e genetici si ha una visione più umana volta verso la solidarietà. Verso forme di diritto diseguale che aiuti quelle persone che partono svantaggiati dalla corsa della vita. Una visione più alta dei temi della diversità e dell’uguaglianza. Già dall’impostazione filosofica da cui parto derivano anche dirette considerazioni politiche.

Facendo un passo indietro: la nascita del Pds secondo lei è la storia di una vittoria o di una sconfitta?

La nascita del Pds deriva da una vittoria interna al dibattito del Pci che a grande maggioranza decise di cogliere le novità del tempo e di aprire una fase politica nuova.

Un fatto riconosciuto anche all’esterno del partito?

Un grande passo avanti che fu apprezzato in Italia e in tutta l’Europa come un grande fatto di innovazione. Fu quindi una vittoria nell’intelligenza dell’innovazione rispetto a una posizione di una pura e semplice conservazione che ci avrebbe fatto restare sotto le macerie dei drammi del comunismo internazionale.

A più di 20 anni di distanza lo può dire: fece bene a virare verso il Pds?

La scelta del Pds fu molto positiva. Successivamente però non si è seguita la strada che si voleva seguire con la svolta della Bolognina.

Quale era il suo progetto?

La mia ipotesi era un’uscita da sinistra dalla crisi del comunismo. Coloro che hanno preso in mano la direzione del partito dopo le mie dimissioni hanno scelto una linea più opportunista, considerando la svolta una dura necessità. Ma non individuando gli elementi e gli orizzonti di un nuovo agire politico, sono arrivati ai compromessi e agli inciuci che tutti noi conosciamo e che hanno progressivamente degradato la funzione del partito.

Qual è secondo lei il peggior difetto del Pd?

È un difetto di fabbrica. Viene dall’inizio. Non a caso io non sono entrato nel Pd. Da un lato il Pd accoglieva uno dei punti fondamentali per cui facemmo la svolta: costruire l’unità tra le grandi componenti riformatrici della società italiana laiche e cattoliche.

E cosa ha sbagliato?

Ha sbagliato perché invece di dar vita a una vera contaminazione ideale e politica, sulla base di una discussione aperta sui fondamenti, ha fatto una fusione a freddo tra apparati. Apriti cielo.

Una critica a Matteo Renzi?

Renzi ha avuto un buon inizio quando voleva smuovere le acque stagnanti della politica e creare un rinnovamento. Poi però si è incanalato in una debolezza programmatica incerta e confusa. A questo va legato un suo difetto culturale di fondo: ritenere che non ci siano più distinzioni tra destra e sinistra e che la distinzione sia solo tra conservazione e innovazione.

Idea sbagliata?

Del tutto priva di senso, perché sappiamo che c’è un’innovazione giusta e una sbagliata. Anche il fascismo era innovazione, anche il nazismo era innovazione, anche la bomba atomica era innovazione. Ci sono innovazioni che vanno scartate sulla base degli orientamenti generali, culturali, politici, ideali che uno coltiva e persegue attraverso un progetto.

Una critica a Massimo D’Alema?

Credo di non dover fare nessuna critica a D’Alema. Nel passato ci sono già state posizioni politiche diverse. Ciò che mi turba è che oggi, con il ritorno al proporzionale, si rischia di dire addio a un fronte progressista unitario.

Il problema potrebbe interessare anche il centrodestra...

Mi preoccupa un dato generale della politica di questo momento. Da un lato abbiamo un nuovismo bullista di cui campione è Renzi. Dall’altra abbiamo prevalentemente dei guastatori e non dei costruttori di nuove prospettive.

Si fanno tanti nomi, ma chi è secondo lei l’anti Renzi per eccellenza?

Quali nomi?

Si parla di Emiliano, Speranza, Rossi, addirittura c’è chi parla di Berlinguer. Lei che ne pensa?

Sinceramente non lo so... Come le ho detto non sono nel Pd e non parlo di questioni interne. La cosa che posso dire però è questa: prima di votare è chiaro che ci deve essere nel centrosinistra un’assemblea sulla base della quale si fanno le candidature e le primarie.

Per molti la sinistra ha perso di vista i più deboli, qual è la ricetta per battere i populismi su questo punto?

La ricetta è che bisogna abbatterli prendendo in mano la critica a questa Europa e non giocando di rimessa.

Cioè?

Molte delle critiche populiste a Bruxelles sono giuste, ma sono sbagliate le risposte che danno. Serve una sinistra riformista, transnazionale, che vada al di là delle idee meschine di “America First”, “Italia First”, “Germania First”, “Lombardia First”. Ma che abbia al proprio centro l’idea dell’umanità e che risponda in modo giusto alle critiche. Ai difetti gravissimi dell’Europa bisogna rispondere con i poteri sovranazionali e rimettendo la politica al primo posto.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:46