Bisi/Bindi: cronaca di una batracomiomachia

Se non fosse una storia drammatica e persecutoria questa che narra dell’accanimento inquisitorio della presidente della Commissione antimafia Rosy Bindi contro il Grande Oriente d’Italia, cioè la massoneria ufficiale del nostro Paese, ci sarebbero anche alcuni aspetti comici, o tragicomici, quanto meno. Anzi quella che si è potuta sentire mercoledì mattina su Radio Radicale si può definire una vera e propria batracomiomachia.

Da una parte il povero Gran maestro Stefano Bisi che sembrava Fantozzi davanti al mega direttore galattico che lo cazzia; dall’altra la stessa Bindi - la mega direttora galattica - che con il fare inquisitorio che le garantisce una Commissione d’inchiesta che può avere gli stessi poteri di un ufficiale di polizia giudiziaria o di un pubblico ministero, arresto compreso, ammoniva alzando la voce il malcapitato reo di non aver ancora consegnato l’elenco di tutti i massoni d’Italia alla Commissione, o quanto meno quelli delle zone di Sicilia e Calabria più interessate al fenomeno mafioso; e questo perché c’è da dimostrare un corollario e un teorema. Quest’ultimo, nel Sud d’Italia, recita più o meno così: non tutti i massoni sono mafiosi, però tutti i mafiosi sono massoni. Il primo, invece, sostenuto dalle voci confessorie - interessate ma tutte da dimostrare - di alcuni pentiti di ‘ndrangheta e di Cosa nostra, sostiene che la latitanza di Matteo Messina Denaro, il nuovo erede di Totò Riina, sia stata aiutata dalla massoneria italiana e internazionale; il che fa pensare che presto sarà convocato in Commissione antimafia anche il Gran maestro del rito scozzese o altri degli Stati Uniti e che anche a loro verrà chiesto di consegnare l’elenco completo degli aderenti alle rispettive obbedienze o, quanto meno, quello dei cittadini italoamericani di origini siciliane o calabresi. Pena: l’invio di ufficiali della Finanza nelle rispettive sedi per sequestrare gli elenchi.

La cosa divertente è che la posizione della Bindi in seno all’antimafia può considerarsi “moderata”, anche se nella seduta che ognuno potrà sentire su Radio Radicale si rivolgeva al malcapitato (e assai maldestro nel comunicare e nel difendersi) Gran maestro Bisi con frasi tipo “qui le domande le faccio io e lei non si permetta più di fare considerazioni... glielo dico per l’ultima volta”. E che considerazioni faceva Bisi? Quelle di temere che gli elenchi protetti dalla privacy in quanto dati sensibili che riguardano l’appartenenza filosofica dei singoli, equiparata a quella religiosa o politica, finiscano sulle pagine dei giornali. Chi invece preme perché l’equazione massoneria uguale mafia trovi un posto nella Costituzione italiana o quanto meno nel Codice penale è il vice della Bindi, Claudio Fava, a cui la stessa Bindi nel corso dell’audizione si è rivolta con una benevola battuta di spirito.

In tutto questo delirio persecutorio contro la massoneria, che Stefano Bisi ha difeso come ha potuto (non eccellendo in realtà), il garantismo è andato a farsi benedire. Così come il fatto che senza i massoni Garibaldi, Mazzini e Cavour e senza l’appoggio delle logge inglesi l’Unità d’Italia sarebbe stata rinviata a data da destinarsi. Ma la Bindi pretendeva dal Gran maestro che andasse di corsa a denunciare i massoni dipendenti pubblici alle rispettive amministrazioni di provenienza come, a suo avviso, imporrebbe una recente legge.

L’unica cosa che di fronte a tanta furia inquisitoria il Gran maestro è riuscito a esprimere, balbettando intimorito quasi come il succitato Fantozzi, è che “va sempre ricordato come a perseguitare i massoni siano sempre stati i regimi autoritari”. Appunto. Il fascismo, il comunismo e, “last but not least”, la Santa Inquisizione che con un Papa gesuita deve essere ritornata in auge. Come a dire: meglio gay che massoni.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:45