Palazzo dell’Inpgi, Anac contro il Comune

Perché un Comune, nella fattispecie quello di Roma, dovrebbe dire di no nel 2005 ad affittare un immobile, quello dell’Inpgi in Largo Loria n. 3, per un milione e ottocentomila euro l’anno e poi due anni dopo pagarne 9 milioni e cinquecentomila al costruttore Sergio Scarpellini che glielo “offriva” in subaffitto?

Il popolare Sergio Rizzo sul Corriere della Sera, pagine romane, due giorni orsono ha puntato l’indice sulla maleodoranza di tutto l’affare dell’immobile Inpgi al civico 3 di Largo Loria e delle modalità con cui il Comune di Roma, giunta Walter Veltroni, prima rifiutò di affittarlo direttamente dall’istituto per un milione e 800mila euro, così come fecero altri enti pubblici che risposero alle inserzioni messe sui giornali dopo che l’Enel disdisse l’affitto a fine del 2004, e poi inopinatamente accettò di subaffittarlo per 9 milioni e 500mila euro dal costruttore Sergio Scarpellini. Che, apparso dal nulla, lo aveva affittato dall’Inpgi stesso per 2 milioni e 100mila euro con la clausola di subaffitto. Certamente il sospetto che fosse tutto un piattino preparato alle spalle dell’Inpgi stesso e dei contribuenti romani è fortissimo.

Ma c’è un’altra stranezza su cui riflettere: come mai, in questi tempi di magra dell’immagine politica, Virginia Raggi, il suo ex vicesindaco Daniele Frongia e gli altri consiglieri a Cinque Stelle che già sedevano nei banchi dell’opposizione all’epoca della giunta di Ignazio Marino, non si vantano più di aver liberato i due stabili di via delle Vergini al civico 18 e di Largo Loria al civico 15 precedentemente affittati dall’amministrazione capitolina a prezzi da capogiro dal noto costruttore Sergio Scarpellini, finito recentemente nell’inchiesta per corruzione e nel carcere insieme all’ex uomo di fiducia della stessa sindaca a Cinque Stelle, l’ormai famoso Raffaele Marra?

Il Comune, notoriamente (il primo articolo su questa brutta storia che risale all’epoca di Veltroni lo aveva scritto nel giugno 2007 l’attuale direttore de “Il Tempo”, Gian Marco Chiocci, su “il Giornale”) aveva affittato lo stabile di Largo Loria al civico 3 a oltre nove milioni di euro l’anno dallo stesso Scarpellini, che a sua volta pagava un affitto quattro volte e mezzo inferiore all’Inpgi che glielo aveva affittato, con diritto di subaffitto, circa a metà del 2005, a due milioni e centomila euro l’anno.

Che sia la delibera dell’Anac di Raffaele Cantone la chiave per rispondere alla domanda di cui sopra? Certo quella di ottobre, resa nota solo pochi giorni fa fu una valutazione non positiva, con tanto di trasmissione degli atti amministrativi e delle delibere comunali alla Corte dei conti del Lazio e alla Procura della Repubblica di Roma. E questo perché il trasloco, all’epoca della gestione commissariale che seguì la giunta Marino, degli uffici in altri due immobili, stavolta affittati dall’immobiliare Sa.Mo. in via della Panetteria al civico 18 e in via del Tritone al civico 142, sarebbe stato fatto senza seguire criteri di scelta economici e senza che il Comune ci abbia guadagnato granché. Anzi, il Comune ci aveva speso ulteriori 225mila euro. Come a dire: per togliersi da una situazione giudicata onerosa, che per quel che riguarda Largo Loria al civico 3 ha dell’incredibile, il Comune si è ficcato in una brace che potrebbe essere stata peggio della padella.

Lasciamo per ora da parte via delle Vergini che è di proprietà di Scarpellini, anche se su nella citata delibera Anac erroneamente viene attribuito all’Inpgi. Così come erroneamente, nel mandato di cattura che riguarda Scarpellini, Largo Loria viene invece definito come di proprietà dello stesso costruttore e non dell’Inpgi. Lo scandalo vero della conduzione della trattativa per affittare l’immobile di Largo Loria al civico 3 è tutta responsabilità di qualcuno della giunta Veltroni. Il palazzo infatti era stato già offerto in locazione dall’Inpgi mediante pubblici avvisi nella prima metà del 2005 quando l’Enel che all’epoca ci stava dentro manifestò la propria intenzione di non rinnovare un contratto che allora era pari a un milione e 800mila euro. Tra i vari enti che visionarono informalmente in palazzo, rifiutando l’affitto perché troppo oneroso, c’era pure il Comune. Poi, per relativa fortuna dell’Inpgi, si materializzò questo Scarpellini che offrì trecentomila euro in più in cambio del diritto al subaffitto. Cosa nuova per gli immobili Inpgi ma che all’epoca, presidente del Consiglio di amministrazione era Gabriele Cescutti, apparve più che vantaggiosa. Quel che all’Inpgi non sapevano è che il Comune che aveva rifiutato di pagare un milione e 800mila euro l’anno all’istituto di previdenza dei giornalisti, era invece pronto a sborsarne due anni dopo 9 milioni e mezzo allo stesso Scarpellini. E definire la cosa strana è più che un eufemismo.

Finché nel 2015, dopo avere sborsato quasi 120 milioni di euro negli anni per questo subaffitto (tanto valeva comprarselo direttamente dall’Inpgi, che oltretutto era pure in discrete difficoltà economiche tuttora perduranti, ndr), grazie anche all’azione di opposizione in Consiglio comunale di Raggi, Frongia e altri grillini, il contratto fu disdetto. Ma a rimetterci, manco a dirlo, fu l’Inpgi. Cui Scarpellini da allora non ha più corrisposto neanche l’affitto da 2,1 milioni di euro. E adesso l’immobile costa ulteriori spese di guardiania per evitare che venga occupato dai profughi e dalle decine di poveri che vivono per strada a Roma. Ovviamente anche il Comune di Roma ha subito un danno erariale non da poco visto che quel che poteva affittare a meno di due milioni di euro l’anno lo ha pagato oltre il quadruplo per circa otto anni. Pensare che dietro questa storia non sia volata anche qualche mediazione, più o meno lecita, anche se ormai il tutto potrebbe essere prossimo alla prescrizione, è esercizio di grande fiducia nella bontà del genere umano.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:45