E il Pd ringrazia

Il Partito Democratico ringrazia gli “artificieri” della Corte costituzionale. I quali, bocciando il quesito referendario sull’articolo 18 voluto dalla Cgil, hanno disinnescato un ordigno pericolosissimo sia per il partito che per il Governo Gentiloni. Tenuto sulla corda, quest’ultimo, più dal possibile scioglimento per andare alle urne, arma indicata candidamente come necessaria dal ministro Giuliano Poletti, pur di non affrontare una battaglia referendaria ritenuta mortale; che da altre dinamiche più strettamente legate alla sua opera ed al contesto in cui deve lavorare. Rimangono in campo i quesiti sulla cancellazione dei voucher e sulla responsabilità solidale tra committente e appaltatore. I quali, però, potrebbero risultare poca cosa per mobilitare i cittadini e raggiungere, così, il quorum. Tenendo anche in considerazione il fatto che sui voucher si potrebbe arrivare in poco tempo ad una qualche modifica (ben vista anche da Cisl e Uil), che avrebbe il risultato di rendere l’anatra immobile, più che zoppa. E lasciando la Cgil a combattere una battaglia in un vicolo (cieco?), più che su un fronte ampio.

Perché l’articolo 18 è uno dei pochi argomenti capace ancora di mobilitare un elettorato alle prese con non pochi problemi economici e di stabilità. Il quale, al grido “sicurezza”, in qualsiasi forma declinato, potrebbe rispondere “Presente!”. E mandare a gambe all’aria, per la seconda volta, il Governo e il suo maggiore azionista: il Pd.

Perché il rischio che ciò avvenisse era una quasi certezza, anche a giudicare dal numero delle firme raccolte dalla Cgil sul quesito dell’articolo 18: ovvero circa 3.300.000 milioni. Cifra ragguardevole. Che se da una parte mette in rilievo, ancora una volta, la non comune capacità organizzativa del sindacato di Corso d’Italia, dall’altra mostra come il tema fosse sensibile e sentito dalla gente.

Ed è probabile che nei festeggiamenti post-pronuncia, il Pd abbia ritrovato la sua compattezza interna. Perché, se per la maggioranza se ne capiscono automaticamente i motivi, per la minoranza non si fa fatica a immaginare che Speranza e Co. non avessero nessuna voglia di schierarsi con gli amici della Cgil. In una battaglia, per giunta, che li avrebbe nuovamente messi in una condizione di “partito nel partito”. E con la pretesa, per giunta, di guidare il Pd in una (lontana) ipotesi di vittoria al congresso. Ma, se non si fossero schierati a fianco della Cgil, avrebbero perso, oltre ad una qualche e presunta coerenza, anche il contatto con una sponda sindacale fondamentale per loro in un momento di isolamento e difficoltà, sia negli equilibri interni al partito che nei confronti di un loro potenziale elettorato.

A quanto pare, la vera divisione c’è stata all’interno della stessa Corte costituzionale. Dove il “no” al quesito sull’articolo 18 sembra essere passato con una risicata maggioranza. Decisione politica? Saranno in molti a definirla tale. Ma, in fondo, non lo sapremo (ovviamente) mai. Anche perché le motivazioni verranno rese note in un tempo abbastanza lontano, e capace di far cadere tutto nel dimenticatoio e nell’irrilevanza. In fondo, Matteo Renzi ha vinto una battaglia senza esporsi. La sua più importante creatura, il Jobs Act, rimane in piedi dritto come un fuso. E lui può, con relativa serenità, pensare a come riorganizzare la sua seconda “discesa in campo”. Un campo non devastato da un’altra battaglia referendaria. Il Governo Gentiloni può ora veleggiare tranquillo e senza scossoni. Nessuno, tra coloro che lo sorreggono, ha intenzione di disarcionarlo. Tantomeno Silvio Berlusconi, che sta giocando la sua personale battaglia nel centrodestra, volta non solo a ristabilire la sua leadership, ma anche a riaggregare le forze sparse ed in cerca di guida. E tutti fanno “scouting”, a cominciare da Renzi, che gira in Italia alla ricerca di talenti. Mentre Berlusconi ricerca tramite audizioni.

Forse, gli unici davvero delusi sono gli esponenti della destra populista e i grillini. Perché, se la Consulta si fosse pronunciata per l’ammissibilità avrebbero comunque raggiunto il loro scopo. Infatti, sia che si fossero incrociate le lame in una battaglia referendaria, sia che si fosse andati ad elezioni anticipate, per loro sarebbe stato comunque un momento di capitalizzazione politica della situazione. Anche perché, altri modi per disarcionare Gentiloni non ne hanno. Con l’aggravante per Beppe Grillo di vedere ogni giorno la possibile erosione del suo consenso grazie alla giunta Raggi e alle figuracce europee. Anche la sinistra radicale ha di che rammaricarsi. La Cgil, e le sue iniziative, sono uno dei pochi modi rimasti per avere visibilità. Insomma, intanto Gentiloni veleggia sicuro. È questa l’unica certezza.

Aggiornato il 07 aprile 2017 alle ore 18:08