Vecchi merletti

Per i sindacati Cgil, Cisl e Uil il problema non è la bocciatura del referendum sul Jobs Act, ma la pesantezza, la vecchiezza e l’obsolescenza di apparati che sanno solo di “vecchi merletti”. Sono rimasti fermi a quarant’anni fa. Non solo, ma nel corso dei decenni hanno acquisito e incamerato una bella parte dei vizi della politica. La dice lunga del resto la vicenda del ministro Valeria Fedeli, ex autorevole sindacalista della Cgil; una volta per i difensori dei deboli “la parola” era tutto. Come se non bastasse, sempre più spesso incappano in vicende opache di gestione disdicevole al limite del lecito, o comunque dell’opportuno. Parliamo di fatti noti, compreso l’ultimo sull’utilizzo dei voucher in Cgil, che non giovano e rendono il sindacato meno credibile oltre che meno trasparente.

Insomma, quegli organismi che nascono per combattere le ipocrisie, gli opportunismi, le ambiguità e gli interessi personali della politica, piano piano sono finiti in piena sindrome di Stendhal. Qui non si tratta di mettere in discussione la fondamentale importanza del sindacato né i successi che nella storia ha conseguito, si tratta di chiedersi a cosa serva oggi un sindacato così. Parliamo di strutture enormi, goffe, appesantite da organici pletorici, lenti e talvolta inutili e poco aggiornati.

Del resto si vede e si sente dai discorsi che fanno, dalle parole che usano, dalle contromisure che propongono, un insieme di vecchiume che odora di cimelio e di reperto storico. Sia chiaro, nulla di particolare e personale contro i leader e contro gli esponenti di punta, persone perbene che però sono rimaste ferme agli esami di gruppo delle lotte studentesche. Per questo negli ultimi anni poco o niente hanno inciso su tanti provvedimenti, a partire dalla Legge Fornero, che ben altra partecipazione e attenzione avrebbero meritato in tema di diritto. Spostare in avanti l’età pensionabile per fare cassa, senza toccare pensioni d’oro, privilegi di casta e vitalizi, è stato un flop e un autogol che nessun sindacato può permettersi. Per non parlare dei vantaggi contrattuali dell’impiego pubblico rispetto al privato e dell’insostenibilità dei livelli salariali di alcuni enti e organismi di Stato. Ci riferiamo a Banca d’Italia, Consob, magistratura, solo per fare qualche esempio.

Insomma, tanti sarebbero stati i temi da affrontare per primi, per proporre un più equo ridimensionamento dello sperpero pubblico e degli squilibri inaccettabili. L’Italia è un Paese dove il negozio giuridico del lavoro è un ginepraio frustrante e antieconomico di diversità inammissibili, che andrebbero affrontate e risolte. L’Italia è un Paese dove l’Istituto dell’invalidità è stato usato e abusato da sempre, fino a creare costi e storture vergognose. L’Italia, infine, è un Paese dove le forme di sussidio, gli ammortizzatori, i sostegni contrattuali, si sono intrecciati, sommati, replicati senza un ordine e una logica in grado di renderli giusti, efficaci e soprattutto dedicati secondo equità sociale. Pochi controlli, pochi interventi, pochi censimenti in aggiunta a regole confuse emanate in perenne emergenza, hanno distrutto non solo il mercato del lavoro, ma creato condizioni di disparità inaccettabili e penalizzanti. Anche per questo c’è disoccupazione, sottoccupazione, lavoro nero e purtroppo ancora sfruttamento.

Ecco perché servirebbe un sindacato moderno, agile, aggiornato e snello nella struttura, un sindacato con una formazione d’eccellenza in grado di proporre e ribattere punto su punto. Un sindacato al passo con i tempi e i cambiamenti della società, dell’impresa, del mercato e dell’economia; insomma, un sindacato forte e d’attacco e non da difesa sterile e antica. Solo così i vecchi merletti e le goffe strutture potranno trasformarsi in organismi smart, pungenti e preparati, in grado con linguaggi nuovi e metodi moderni di migliorare il mondo del lavoro e aiutare il Paese a crescere davvero.

Aggiornato il 07 aprile 2017 alle ore 18:02