Vatti a fidare  dei rivoluzionari M5S

Contrordine pentastellati: l’Europa non ci fa più schifo e l’austerità è quasi una forma di decrescita felice.

È ciò che in sostanza ha detto Beppe Grillo all’indomani dell’annuncio di una trattativa in seno al Parlamento europeo finalizzata a lasciare il gruppo euroscettico di Nigel Farage ed entrare nell’Alde, il gruppo europeista e liberale di Guy Verhofstadt. Poco tempo fa Grillo aveva collocato Verhofstadt tra gli “impresentabili”, ma tant’è, cosa volete che sia aderire al gruppo di Monti e dei liberal-democratici, sedendo allo stesso tavolo con gli odiati sostenitori dell’eurofanatismo dopo averne dette di tutti i colori.

Che giravolta sia allora, con annesso stridio di specchi come quello dell’eurodeputato Ignazio Corrao, il quale si spinge addirittura a teorizzare che “aderire a un gruppo non significa fare un’alleanza politica”.

Baggianate, ma tanto le considerazioni più “politiche” a supporto della scelta sono peggiori delle supercazzole: da ambienti grillini si fa sapere che, nonostante l’alleanza sia innaturale, con il gruppo europeista e liberale ci sarebbero dei punti su cui fare delle battaglie in comune come “la condivisione dei valori di democrazia diretta, trasparenza, libertà, onestà; totale e indiscutibile autonomia di voto; partecipazione dei cittadini nella vita politica delle istituzioni europee; schieramento compatto nelle battaglie comuni come la semplificazione dell’apparato burocratico europeo, la risoluzione dell’emergenza immigrazione con un sistema di ricollocamento permanente, la promozione della green economy e lo sviluppo del settore digitale e tecnologico con maggiori possibilità occupazionali”.

L’alleanza con Farage invece sarebbe finita perché i parlamentari inglesi avrebbero altro da fare e con la Brexit sono destinati a scomparire dallo scenario continentale. E quindi, in nome della green economy e della banda larga, i Cinque Stelle vorrebbero farci credere di sorvolare sul fatto che i loro nuovi alleati (o compagni di strada) siano i paladini dell’establishment burocratico europeo e di passare dal “No Euro” al “Sì Euro” con una grande disinvoltura nel nome della passione ambientale e tecnologica. È la solita, coerente solfa in fondo: in piazza fanno i rivoluzionari mentre nelle segrete stanze si alleano con pezzi di apparato, che si chiamino Raffaele Marra o Paola Muraro a Roma piuttosto che Guy Verhofstadt a Bruxelles poco importa.

Poi, gratta gratta, la verità viene a galla: ci sarebbe in ballo un posto da vicepresidente del Parlamento europeo (Verhofstadt si candida alla presidenza) ed una serie di fondi europei destinati ai gruppi parlamentari che con la nuova alleanza permetterebbero ai pentastellati di incassare un bel malloppo da usare per le iniziative politiche. Tutte ragioni lecite, ma non bellissime da dire.

Questione di euro insomma, tanti euro al cospetto dei quali i valori sbiadiscono e gli irriducibili si ammorbidiscono. E la povera “Rete”, quelli che uno vale uno? Costretti a ratificare ex post un’alleanza già preconfezionata dai capi del Movimento. Altro che Rousseau. Poi capita anche che a Grillo non riescano neanche le cose fatte male: è di queste ore la notizia che Alde ha negato ai Cinque Stelle l’ingresso nel proprio gruppo. Giuggiole per la base che griderà al complotto della casta contro colui che voleva aprire anche il Parlamento europeo come una scatoletta di tonno. La verità è che i grillini si muovono con opportunismo da Prima Repubblica senza averne lo stile: sono pentastellati, mica pentapartito. Con tutto quello che ciò significa.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:45