L’anno che verrà

Dopo gli anni delle grandi paure, il 2017 si annuncia come il tempo del cambiamento. D’altro canto, l’idea che si possa continuare a vivere aggrappati a traballanti “certezze” ha abbandonato da tempo anche i più tenaci conservatori. Largo, dunque, all’esplorazione di nuove rotte alla riscoperta di una qualità della vita sostenibile alla cui assenza sembrava ci fossimo arresi. Finora abbiamo pagato il conto salato di un malessere che ha contaminato tutti i campi della vita. Dalla sfiducia nella politica e nell’economia, alla crisi del potere taumaturgico delle nuove tecnologie, allo scetticismo sulla validità del messaggio religioso, alla perdita di peso specifico dei valori condivisi della morale, l’elenco sarebbe lungo.

Il riflesso pavloviano, che ha trovato il suo picco d’incidenza nell’anno appena concluso, si è sostanziato nell’approdo di un numero sempre più grande d’individui a soluzioni fondate sulla disintermediazione nelle dinamiche del potere. Cosa altro sono i cosiddetti populismi se non il rifiuto istintivo degli istituti della rappresentanza che hanno contraddistinto le forme parlamentari di organizzazione degli Stati? Cosa c’è dietro l’enfatizzazione dello strumento referendario posto in antitesi alla composizione della politica attraverso il dialogo e il confronto partitico? La risposta che questo 2017 dovrà fornirci è focalizzata sul futuro della coesione sociale all’interno delle democrazie occidentali.

Le elezioni in Olanda, in Francia, in Germania segneranno la dimensione del cambiamento. Ciò che è avvenuto in Gran Bretagna con la Brexit e negli Stati Uniti d’America con la vittoria di Donald Trump è stato solo il prodromo indicativo di una tendenza destinata a consolidarsi. Che piaccia o meno, anche gli italiani saranno chiamati a dire cosa vogliono fare del loro futuro. Pur senza drammi e senza toni apocalittici si deve guardare in faccia la realtà. E decidere. Ciò che non è più consentito è di mettere la testa sotto la sabbia sperando che la tempesta ci ignori. Come aveva proposto di fare Matteo Renzi nell’illusione che una “narrazione” bastasse a soppiantare la realtà. Si è visto com’è finita: la fantasia al potere non riempie le tavole e non sfama gli affamati. C’è un problema d’impoverimento dei ceti medi e delle tradizionali classi lavoratrici che le politiche di austerità introdotte nel campo europeo non hanno risolto. Peggio: hanno sensibilmente aggravato. C’è una questione migratoria, montata sulle ali della globalizzazione, che sta creando conflitti all’interno di sistemi sociali i quali, dal secondo dopoguerra fino agli inizi di questo secolo, avevano imparato a progredire, non senza difficoltà e ripetuti inciampi, sulla strada della coesione e della solidarietà intracomunitaria. La concorrenza sleale di masse di lavoratori in movimento dalle periferie del mondo, combinata all’estrema volatilità del lavoro prodotto dall’impresa turbo-capitalista, ha generato l’addensarsi di quella vasta categoria d’individui che l’ottimo Giulio Sapelli definisce “il popolo degli abissi”. Questo esercito di novelli straccioni di Valmy si è messo in marcia per reclamare diritti di dignità civile. Pensare di ricacciarlo indietro facendo valere il criterio dell’abbandono delle esistenze inutili perché non compatibili con gli scenari del progresso globale, non ha funzionato. Nel mondo anglosassone, come nel cuore della vecchia Europa.

Altre strade dovranno essere esplorate se si vuole evitare la sincope del sistema. Che ci sarà, checché ne pensino i fedelissimi del globalismo tout court, rintanati nelle ultime roccaforti del potere non ancora aggredite. C’è bisogno di pensiero fresco che ricominci a circolare perché non sia il sangue a inquinare le falde di questo 2017. Sangue dei vincitori, non dei vinti come talvolta la bizzarra schizofrenia di un Occidente, faro appannato di civiltà, in lite con le sue stesse aspirazioni di grandezza ha machiavellicamente concesso alla propria storia. Come nel 1917 in Russia, nel 1922 in Italia, nel 1933 in Germania. Esserci, partecipare, battersi per un’idea di futuro, sarà la cifra del nuovo anno. E sarà bello.

Aggiornato il 07 aprile 2017 alle ore 17:59