Il grande rischio del “frigorifero”

Il frigorifero è una gran bella invenzione, ma quando la spina è staccata rischia di trasformarsi in un pericoloso contenitore di avarie.

Siamo dunque certi che Sergio Mattarella abbia chiara la contezza che il cavo di alimentazione del Governo Renzi e della sua maggioranza sia stato disattivato da domenica scorsa? Dunque, quando si verifica il black-out la logica impone di togliere via tutto dal freezer piuttosto che il contrario; non solo, prima si fa e meno danni si subiscono. Ecco perché confidiamo che l’invito del capo dello Stato a Matteo Renzi di congelare le dimissioni sia limitato a poco, pochissimo tempo, altrimenti sarebbero problemi e di vaste dimensioni.

Va da sé, infatti, che non tenere conto di quanto il distacco dell’energia che alimentava l’Esecutivo Renzi sia stato forte e netto col voto referendario, sarebbe un tentennamento ingiustificabile. Oltretutto, le pratiche di approvazione al Senato della Legge di stabilità, volendo e dovendo possono ridursi a questione di tre-quattro giorni o poco più. Insistere oltre, in uno scenario che offre come unica soluzione quella di procedere rapidamente al varo di un nuovo Governo, per votare una legge elettorale e andare a elezioni, non avrebbe alcun senso. Del resto la manovra scriteriata con la quale Renzi ha voluto trascinare tutti a un voto referendario, a dispetto di una modifica della Carta sbagliata e pericolosa, non poteva che portare al tracollo della legislatura. Gli italiani, infatti, a larghissima maggioranza con il “No” di domenica scorsa, in un colpo solo hanno definitivamente bocciato riforma, Governo, maggioranza e a questo punto aspettano di essere chiamati velocemente al voto per scegliere chi dovrà governarli. Qui non si tratta di essere frettolosi e incautamente sbrigativi, si tratta di fare presto per il bene del Paese e per il rispetto degli elettori.

Come se non bastasse, è chiaro a tutti, specialmente al Presidente della Repubblica, che un Governo “cosiddetto di scopo” deputato solo a varare una legge elettorale, per sua natura sarebbe depotenziato. In Europa, come nel mondo, non godrebbe cioè di quell’autorevolezza, solidità e spendibilità che al contrario servono all’Italia come il pane, soprattutto in questa fase storica. Ecco perché bisogna fare presto e nel giro di due, massimo tre mesi andare a elezioni anticipate. Ogni altra scelta sarebbe una rischiosa avventura. Una avventura perché chi ha votato “No” non capirebbe, perché sarebbe lievito per l’impasto dei grillini, perché la protesta potrebbe montare come la panna e poi perché i mercati con i governi deboli ci vanno a nozze. Insomma, diciamola tutta, Renzi stavolta l’ha combinata grossa e non esistono pezze a colori che possano rimediare. Per tale ragione, il balletto sul nome migliore per guidare un governo di vita breve interessa poco; al massimo interessa solamente a Renzi e, detto fra noi, peggio per lui e per il Partito Democratico. La scelta, in un caso come nell’altro, nulla farebbe se non acuire l’inevitabile sfascio di un partito che il Premier ha ridotto allo sbando. Tanto è vero che Renzi in questi tre anni, dopo essere riuscito con la complicità di Denis Verdini a dividere il centrodestra, si è dedicato alla demolizione del Pd.

Insomma, seppure con un’evidente maggiore autorevolezza e numeri di partito e di governo, Renzi ha fatto al centrosinistra ciò che Gianfranco Fini fece al centrodestra. L’unica nota di colore delle due situazioni è che (guarda caso) in entrambi dietro c’era lo zampino di Giorgio Napolitano. Uno zampino che in questi ultimi dieci anni ha portato all’Italia più dolori di quanti ce ne siano stati nei precedenti venti. In conclusione, l’incipit del Presidente Emerito non è stato mai di buon auspicio, dunque inutile perdersi intorno a riti propiziatori a favore di questo o quel nome, per un governo che dovrà durare al massimo qualche mese. Pertanto prepariamoci a votare all’inizio della prossima primavera per dare al Paese un governo e una maggioranza finalmente chiara, riconosciuta e riconoscibile. Sono queste le condizioni indispensabili al bene del Paese. Vale per tutti, ma per quel che ci riguarda vale soprattutto per il centrodestra che, adesso o mai più, deve ritrovare forza, unità e compattezza.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 21:51