La mano storta

mercoledì 7 dicembre 2016


Conoscete il “bluff”? Quello del pokerista faccia di bronzo che, con in mano appena un tris di donne, chiama banco giocandosi tutto ciò che ha, per schiantarsi rovinosamente contro un poker d’assi una volta scoperte le carte? Un tipo del genere ve lo presento subito: Matteo Renzi. Come tutti i giocatori d’azzardo (un po’ bari) ha praticato fino in fondo la scorrettezza al tavolo di gioco, sul quale si è seduto per semplice eliminazione simbolica di un altro giocatore solo troppo ingenuo, per restare comodo su quella sedia coronata. Il mandante di quell’eliminazione politica di un concorrente ingombrante? Lui, il Presidente Emerito Giorgio Napolitano. Mi chiedo: poteva fare altro l’ex “migliorista”, visto che il pokerista provetto aveva sbancato i quozienti elettorali alle ultime Europee del 2014 e appariva sulla cresta dell’onda del consenso popolare? Poteva dismettere baracca e burattini sciogliendo un Parlamento di nominati e, per giunta, parzialmente delegittimati dalla Consulta, lasciando così che si pronunciassero gli italiani, con un rischio concretissimo della vittoria incontenibile del Movimento 5 Stelle e dei “populisti”?

Dopodiché, a risultati acquisiti, quanto ci avrebbe messo la finanza internazionale e gli gnomi odiatissimi di Bruxelles a farci fare default, facendo salire lo spread a mille, come sarebbe successo dopo il 2011 se Mario Monti non avesse fatto approvare nel 2012, in soli otto mesi, con doppio scrutinio e con la maggioranza dei 2/3, una devastante riforma costituzionale, per l’introduzione del pareggio di bilancio, che ha consegnato mani e piedi ai superpoteri internazionali i bilanci pubblici italiani di qui a cinquanta anni? Fu così che venne soprattutto imprigionato e ammanettato il famoso popolo sovrano che, a causa di quella maggioranza bulgara, non venne chiamato a pronunciarsi (come è accaduto il 4 dicembre) con un referendum confermativo che non fu possibile convocare perché non ci fu nessuno, in assoluto, nemmeno la Lega che aveva votato contro, a raccogliere le 500mila firme previste dall’articolo 138 della Costituzione! Il pokerista è stato scorretto fino all’ultimo: appena girata la boa della mezzanotte del 4 dicembre ha annunciato le sue dimissioni, quando non si era giunti nemmeno alla metà delle schede scrutinate. Cose turche, mai viste prima!

Il pokerista era già stato ultrascorretto ben prima quando, dopo aver sottoscritto il Patto del Nazareno e aver sostenuto Napolitano per una sua breve riconferma al Colle, si era trovato nella necessità di adempiere al patto esplicito tra Parlamento e l’anziano Presidente rieletto, per mettere a punto un ampio ventaglio di riforme istituzionali, compresa quella costituzionale, senza mai aver ricevuto alcun mandato in tal senso da parte del corpo elettorale. Il tutto, sfortunatamente per lui, senza capire che il suo affidarsi per la riscrittura a soggetti di sua fiducia (come la Boschi, di nessuno spessore culturale), passando sopra la testa del famoso “popolo”, facendo così calare la riforma dall’alto, lo avrebbe portato alla rovina. Tanto più che, in modo un po’ folle, lo stesso Premier uscente ha fatto raccogliere le firme dal suo Pd per andare al referendum confermativo: lui, il controllato, che giocava nel contempo il ruolo di controllore di se stesso! Mai vista una cosa simile! Il referendum confermativo lo hanno sempre chiesto, storicamente, le opposizioni! Poi, la mano storta: giocarsi tutta la posta, chiamando un referendum su di lui e il suo Governo, invece che tenersi bene a distanza dal “Sì” e dal “No”, lasciando che fossero altri a entrare nel merito della sua riforma.

Bene: ora, che fare? Prendere tempo, innanzitutto, attendendo che la Consulta si pronunci sull’Italicum. Lasciare, poi, che le feroci liti e le rese dei conti interne sfibrino del tutto il Partito Democratico, costringendolo ad avvalersi della sua maggioranza per provare a varare un Governo di transizione, ai fini dell’approvazione di una nuova legge elettorale e della legge di stabilità. Personalmente credo che la riforma elettorale migliore sia sempre quella affermata dal rimpianto Marco Pannella: piccoli collegi uninominali senza doppio turno. All’inglese: chi ottiene un voto in più si prende il collegio. Così, tutti sarebbero costretti a trovare gli uomini nuovi, ben preparati e carismatici, in grado di portare a casa il risultato, convincendo i propri elettori con un vero “porta-a-porta”. Il che, se ci pensate bene, sarebbe un dono avvelenato proprio per Beppe Grillo e i suoi numericamente scarsi aspiranti leaderini.


di Maurizio Bonanni