Spuntano le mummie per il “dopo Renzi”

martedì 6 dicembre 2016


Gli italiani hanno detto forte e chiaro cosa pensano della riforma costituzionale proposta dal Governo, dando nel contempo un’indicazione sulla fiducia che nutrono sia verso l’Esecutivo sia verso il suo primo ministro.

Quella matita (indelebile o no), stante il risultato schiacciante, deve essere proprio finita con forza nelle parti basse di Matteo Renzi tanto da indurlo, con una malcelata faccia funerea, a preannunciare le sue dimissioni irrevocabili. Molto bene. Le vittorie però, soprattutto quando sono di pancia, molto spesso non ti lasciano il tempo assaporarle perché ti presentano a stretto giro di posta un conto troppo salato. Ed il conto di cui parliamo riguarda il dopo Renzi con tutte le criticità che ciò comporta.

Inutile stare a cincischiare su chi abbia vinto perché Renzi, com’è ovvio che sia, dirà di aver preso più di 13 milioni di voti da solo (contro i 19 milioni di tutti gli altri insieme), mentre il fronte del “No” opporrà il proprio roboante 60 per cento. Queste sono chiacchiere da bar mentre il problema vero è ciò che accadrà dopo: escluso che si vada a votare in tempi brevi – un sospiro di sollievo perché almeno si rimanda lo stucchevole spettacolo del grillismo al potere che trionfa in mezzo alle macerie dei partiti – il toto-nomi che impazza è tutt’altro che rassicurante. A parte il grigio Pier Carlo Padoan ed il tecnocrate Carlo Calenda, a concorrere per il governicchio di fine legislatura incaricato di portare termine la partita economica con l’Europa e la legge elettorale parrebbero accreditati anche il giustizialista Piero Grasso piuttosto che Roberta Pinotti, Angelino Alfano o Dario Franceschini.

Il nome del Premier incaricato dipenderà da come il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, intenderà assortire la nuova maggioranza a sostegno del Governo. Bisognerà capire se si comporrà una maggioranza a trazione ulivista o più spostata al centro. In questo panorama di per sé fosco, c’è chi arriva addirittura ad insinuare un impegno diretto di Romano Prodi - al secolo Mortadella - pronto a scendere in pista per fare il padre nobile della Patria e guidare l’Italia fuori dal pantano. Ipotesi poco attendibile a nostro avviso anche se l’impressione è che quest’ultima eventualità (la più nefasta, ma per alcuni la più suggestiva) segnerebbe il ritorno dei sacrifici, delle tasse (quelle che sono belle…) e di un vecchiume mummificato che credevamo di aver lasciato alle spalle. L’unica cosa certa è che emerge prepotentemente l’idea di un governo a trazione ulivista (indipendentemente da chi lo guiderà). Ciò spegnerà sul nascere le velleità degli inciucioni che in questi mesi hanno brigato per le larghe intese, per le grosse coalizioni di salvezza nazionale, nella speranza di ritornare al centro dei giochi parlamentari magari riacquistando quella visibilità nel palazzo che avevano ormai perso. Nonostante si tratti di un consiglio non richiesto, sarebbe meglio per costoro pensare un po’ meno al palazzo ed un po’ più alla proposta politica. Le segrete stanze sono troppo lontane dalle piazze votanti.

Chi intende ambire alla guida del Paese ha bisogno di elaborare un’offerta politica credibile sostenuta da una coalizione coesa. Chi è concentrato solo sul palazzo evidentemente ha sbagliato mestiere perché vuole fare il lobbysta campicchiando su uno scranno.


di Vito Massimano