La rotta di collisione

Inutile e dannoso il “bau bau” con il quale Matteo Renzi tenta di sbeffeggiare le perplessità dell’Unione europea sulla manovra di stabilità all’esame della Commissione. Il vero problema dell’Italia, e Renzi lo sa bene, in un momento come questo, non è quello di mostrare il petto per apparire gladiatore agli occhi degli italiani. Il nodo cruciale, infatti, è tutt’altro e cioè l’assoluta disattenzione a quello che succederà quando, tra poco più di un anno, Mario Draghi andrà a scadenza di mandato. La fine della presidenza italiana alla Banca centrale europea, infatti, potrebbe coincidere con la deadline di un’Europa sempre più in mano alla Germania. Con tutta probabilità a Draghi succederà Jens Weidmann, capo della Bundesbank, un personaggio che non solo non ama l’Italia ma che ha in mente l’avvio di una politica monetaria opposta a quella di Draghi. È facile immaginare quale potrà essere la conseguenza sulla stabilità finanziaria dei Paesi che non hanno sfruttato il Bengodi del Quantitative easing, immaginandolo eterno e inamovibile.

Bene, anzi male, l’Italia è in testa a questa classifica e Renzi si è dimostrato il più bravo di tutti a condurre il Paese in rotta di collisione con le aspettative dei mercati e dei grandi speculatori finanziari. In tre anni il Premier ha sperperato decine di miliardi di Euro per la gloria di consenso personale ed elettorale, ha aumentato deficit e debito, ha polverizzato la revisione della spesa e mancato ogni appuntamento previsionale con la crescita. Inutile ripetere l’elenco degli sbagli e delle mancanze, certo è che anche questa Legge di stabilità si conferma in rotta di collisione rispetto al necessario per evitare l’onda d’urto che investirà la Ue quando la Bce cambierà politica monetaria. Per questo le spavalderie di Renzi sugli ammonimenti dell’Unione sono risibili, anche perché mentre i Paesi più forti, Germania in testa, si sono attrezzati ad ogni evenienza, noi siamo andati in direzione contraria. Sicuramente con l’auspicabile vittoria del “No” al referendum ci sarà un altro Governo a doversi confrontare con il problema, ma le nostre difficoltà resteranno grandi eccome.

Insomma, bisognerà ripartire dalla terra bruciata che questo Governo, come e più dei precedenti, ha fatto in tre anni di chiacchiere e promesse. Prepariamoci dunque a un biennio 2017/2018 che sarà decisivo per il nostro futuro e per quello dell’Europa e che richiederà un Governo sostenuto da una maggioranza diversa, più ampia e consapevole delle necessità emergenti. Anche per questa ragione la vittoria dei “No” al referendum sarà indispensabile per consentire sia il cambio della guardia nell’Esecutivo, sia la scelta delle persone chiamate a farne parte. Del resto, esclusa l’ipotesi di elezioni anticipate, che lo stesso Presidente della Repubblica Sergio Mattarella non desidera, dopo il referendum ci saranno ancora diciotto mesi di legislatura prima di arrivare al confronto elettorale.

In buona sostanza, il quattro dicembre sarà comunque un giorno storico non solo per evitare l’avvio di una riforma costituzionale orrenda, ma per togliere il Paese dalle mani di Renzi. Sarà insomma, quella del voto referendario, una sorta di ultima chiamata, per correggere la rotta dell’Italia verso una collisione che altrimenti potrebbe esserci fatale. Meglio tardi che mai.

Aggiornato il 06 aprile 2017 alle ore 17:03