Perché la destra non sa dire

Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera di domenica scorsa, nel suo editoriale, lamenta “quello che la destra non sa dire…”.

Con questo incipit, l’elegante intellettuale compie tutto un suo percorso di critica alla destra per la mancanza di proposte, d’iniziative e di progetti politico-culturali indispensabili a dare un vero “corpus” all’idea di Paese del “destra pensiero”. In quest’analisi, Galli della Loggia inserisce tra le motivazioni di tale carenza la sopraffazione del “sinistra pensiero” su tutto, esplosa in ogni settore subito dopo la sconfitta del fascismo e la nascita della Repubblica. È proprio su questo tema che, da molto tempo, avremmo voluto da Galli della Loggia, come da tanti altri noti intellettuali, una forza e un coraggio che non solo non c’è stato, ma la cui mancanza ha contribuito a creare un vulnus di pensiero nel Paese.

In certi casi anche l’indifferenza può far male e non poco. Da noi, si sa, il concetto di “destra”, a partire dal dopoguerra, nasce viziato dagli errori e dagli orrori del fascismo, ma anche dallo strapotere e dalla ipocrisia dei vincitori. Sul fascismo, infatti, si è detto e scritto solo quel che si è voluto e dovuto scrivere, per evitare che in qualsiasi modo fossero svelati anche quegli aspetti concreti, che pure indubbiamente ne fecero parte. Oltretutto, a questo esercizio tutto “italiano” hanno partecipato compulsivamente tanti di quelli che, allora in un battibaleno, passarono da una parte all’altra della barricata. Tanto è vero che la stigmatizzazione della cosiddetta destra è un fenomeno che i conservatori in Inghilterra e i repubblicani (Trump a parte) in America in sostanza ignorano.

In Italia, dalla Costituzione in poi, ogni movimento antagonista, alternativo al cattocomunismo dominante, è sempre stato bollato ovunque di fascismo, destra pericolosa, postfascismo, un dipresso insomma rischioso per la democrazia. Perfino Silvio Berlusconi, soprattutto all’inizio, ma non solo, fu accusato di posizioni intolleranti, estremiste, nostalgiche, comunque minacciose per lo stato di diritto. In buona sostanza nel nostro Paese la storia culturale, politica e sociale è stata indirizzata, scritta, insegnata e raccontata accusando, deplorando e criminalizzando ogni espressione del “destra pensiero”. Parliamo di ogni espressione, perché da noi, con l’ossessione di riuscire nell’intento, si è finito nel coinvolgere dentro il calderone qualsiasi dottrina liberale, conservatrice, laico moderata e non allineata al cattocomunismo.

Tanto era forte questa volontà malsana, che nemmeno la nobiltà, l’acutezza, la bontà e la genialità di pensiero di un grandissimo italiano e liberale come Luigi Einaudi ha potuto sottrarsene. Eppure Einaudi ha ricoperto tutti i più alti magisteri della Repubblica, è stato uno degli economisti più apprezzati nel mondo, uno dei politici più colti, preparati e integri che l’Italia abbia avuto. Il suo senso laico dell’amor patrio, la sua attenzione ai bisogni, la sua diligenza per la crescita e lo sviluppo economico e democratico del Paese sono stati e restano memorabili. Insomma, nemmeno Luigi Einaudi è riuscito ad affermare e consolidare in Italia l’opzione liberale e democratica, alternativa al cattocomunismo imperante.

Da noi, caro Galli della Loggia, e lei lo sa bene, sin dalla nascita della Repubblica si è voluto surrettiziamente orientare il Paese solo in un senso, nella politica, nelle università, nei libri, nell’informazione, nelle scuole, ovunque e comunque. Tanto è vero che quando qualcuno ha provato a “revisionare” il pensiero e la storia dominante, è stato emarginato, messo all’indice o peggio accusato di tradimento ideologico (vedi Giampaolo Pansa solo per citarne uno). Capirà, professore, quanto in un clima simile sia stato e sia tutt’ora difficile, se non di più, sostenere e diffondere un progetto, un programma, una proposta, cosiddetta di destra. Gli stessi attori di questo schieramento politico (Lega, Fratelli d’Italia, Forza Italia) al semplice manifestare una posizione su qualsiasi tema, sono censurati, attaccati e bollati come pericolo democratico, come se il “destra pensiero” fosse per definizione ignobile politicamente. In fondo, nel nostro Paese, che Berlusconi sia riuscito a vincere creando il centrodestra è stato davvero un miracolo, che poi questo miracolo non si sia trasformato in una rivoluzione liberale è altrettanto vero. Del resto per compiere la rivoluzione liberale allora sarebbe stata necessaria una stoffa, un background, uno spessore e una compattezza che non c’era e che non si può inventare dal nulla, ci vuole tempo. Oltretutto Berlusconi insieme ai suoi tanti e colpevoli errori, proprio per tutte le ragioni analizzate, è stato combattuto, aggredito, criminalizzato in ogni modo possibile. Dalla giustizia all’informazione, dai cenacoli benpensanti italiani all’establishment internazionale, dagli intellettuali ai guru del moralismo, dalla sinistra radical chic alla sinistra sindacale, tutti contro di lui e contro il centrodestra postfascista…

Ecco perché, caro Galli della Loggia, più che scrivere quello che la destra non sa dire, bisognerebbe scrivere quello che tuttora non gli lasciano dire, passare, diffondere, visto che al primo accenno parte il coro delle accuse di pericolo democratico. Noi siamo uno strano Paese, che ha sempre avuto una maggioranza di moderati ma che si è fatto governare dal socialismo reale, che è sempre stato alleato dell’America ma condizionato dagli ex compagni di Breznev, impregnato di Chiesa ma votato all’eresia. Siamo un Paese dove chi più conta e fa testo ha sempre ballato il valzer dell’ipocrisia e dell’opportunismo. Dunque, caro professore, di quale rivoluzione liberale vogliamo parlare e di quali parole che la destra non sa dire? Ci resta però la saggezza e la speranza dei proverbi, perché se è vero che sempre bene non può andare è anche vero che sempre male non può durare…

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 21:54