Il riflesso di Pavlov dei pacifisti

venerdì 21 ottobre 2016


È bastato l’annuncio della Nato di schierare quattromila soldati nelle repubbliche baltiche per scatenare il pacifismo italiano da quattro soldi, basato su un articolo della Costituzione mal concepito, mal compreso e peggio interpretato.

Lo sdegno vibrante ha percorso uomini e partiti a destra, al centro, alla sinistra, a dimostrazione che niente accomuna gl’Italiani quanto il malinteso irenismo e l’inaffidabilità politica. Il governo stesso, che pure ha preso la decisione giusta a cui peraltro non poteva sottrarsi senza farci fare la figura dei pusillanimi, per bocca dei tremebondi Gentiloni e Pinotti ha minimizzato e attenuato, per non apparire come la situazione avrebbe richiesto. Eppure l’Italia ha truppe sparse per il mondo, anche in zone di guerra vera, però sempre in missione di pace. Perché questa ipocrisia? E ce la possiamo permettere? Ovviamente no. Come non possiamo permetterci le pose da guerrafondai. Tuttavia una posizione seria lo Stato dovrebbe assumerla, perché la politica militare è mamma e figlia della politica estera, che a sua volta determina la politica interna della nazione. Stare nella Nato significa anche fare la guerra se la Nato è trascinata in guerra. E comunque, Nato o non Nato, la realtà impone di schierarsi non solo nelle situazioni estreme ma anche quando sono implicate questioni di principio che non possono essere risolte senza perdersi al riparo di un sì o di un no sbagliati.

Dunque, lo schieramento di una nostra compagnia militare entro i confini di Stati amici ed alleati è stata giudicata provocatoria verso un vicino che, aggressore ed occupatore nel passato, agita al presente non troppo larvate minacce. A che serve un’alleanza se l’alleato impaurito non è aiutato dagli alleati a scacciare la paura e a sentirsi più sicuro? Estonia, Lituania, Lettonia, Polonia hanno dovuto imparare a loro spese, dalla storia, che il vicino russo non è un fiorellino ma un orso dominante e sanguinario. Si sa, quando uno si è scottato con l’acqua bollente, teme pure la gelata. E la Russia di Vladimir Putin non è semplicemente tiepida ma tende a riscaldarsi alquanto. Della Crimea ha fatto un sol boccone, tra la quasi indifferenza internazionale, salvo le sanzioni economiche che non sanzionano per nulla i Russi (un popolo che non produce pressoché niente, fuorché gli armamenti, ed esporta solo gas e petrolio), ma sanzionano i sanzionatori. Ed è lì lì per staccarsi un altro bel pezzo dell’Ucraina, a colpi di kalashnikov e referendum “indipendentisti”. Di fronte a queste macroscopiche violazioni dell’ordine internazionale ed europeo, un ordine derivante da trattati che la Russia ha sottoscritto, i nostri leader nazionali, ormai chi più chi meno infoiato di Putin, non hanno fatto una piega: non hanno inveito contro l’aggressore; non hanno chiesto la convocazione del Parlamento, non hanno preteso che il governo riferisse alle Camere. L’aggressore, finché vince, è stato sempre il beniamino degl’Italiani, rosso o nero che fosse. Un popolo, noi Italiani, naturalmente inclini a regolarci sullo straniero che fa al caso nostro: particolare, non nazionale.


di Pietro Di Muccio de Quattro