A proposito di riforme, l’intervista a Marini

In questo periodo di crisi economica la scelta di quali riforme attuare, e come realizzarle, richiede una politica ambiziosa e lungimirante. Di questo abbiamo parlato nel corso di un’intervista con il Presidente Emerito della Corte costituzionale, Annibale Marini.

Può fornirci un breve elenco delle riforme che ci chiede prioritariamente l’Europa?

Le riforme che, a livello comunitario, vengono ritenute indispensabili al nostro Paese sono essenzialmente tre. Al primo posto indicherei quella del fisco; la sua pressione è tra le più alte d’Europa senza che a questo corrisponda, ad esempio, un adeguato livello di servizi prestati, e non è tale da incentivare quegli investimenti esteri che possano sostenere la nostra crescita economica.

Qual è la seconda riforma?

È quella relativa alla giustizia che, oltre a presentare mali endemici, è sovente amministrata in un contesto di diffusa illegalità. È evidente che in un clima caratterizzato da una scarsa fiducia nelle istituzioni, disfunzioni nella struttura organizzativa giudiziaria, normativa non sempre univoca, il crimine organizzato sia spesso in grado di imporre le proprie regole e controllare zone di territorio sempre più ampie. Entrando nello specifico della legislazione civilistica e penale, tra le disfunzioni della giustizia vi sono le lungaggini per l’emanazione delle sentenze, alcune incongruenze metodologiche ed anomalie processuali.

Ci può fornire degli esempi per chiarire il concetto?

Un caso emblematico è quello di alcune sentenze penali che, di fatto, non hanno i tre gradi studiati nei manuali di procedura penale bensì quattro/cinque gradi. Intendo riferirmi alle sentenze di assoluzione che pur emesse dallo Stato in nome del popolo italiano possono essere impugnate dallo stesso organo che le ha emesse. Ne deriva che lo Stato, da un lato assolve, dall’altro può ricorrere contro la sua stessa sentenza di assoluzione con un prolungamento irragionevole della durata del processo.

Da ultimo, cosa ci viene richiesto da Bruxelles?

Decisamente una completa riforma della previdenza che tenga maggiormente conto del criterio di equità. Nel nostro sistema pensionistico ad esempio vi sono forti sperequazioni, le pensioni minime e quelle cosiddette “d’oro”. Tutte e tre le riforme, sottolineo, dovrebbero essere strutturali e non limitarsi ad interventi parziali e fatte a spizzichi e bocconi.

Come valuta l’Europa la riforma costituzionale?

L’Europa ritiene, ed è del tutto logico, tale riforma di competenza dei singoli governi nazionali. Mentre quelle precedenti rientrano in un ambito europeo, la riforma costituzionale è una scelta essenzialmente politica dei Paesi membri. Ci fornisce una sua lettura della riforma costituzionale? Innanzitutto va sottolineato che il disegno di legge Boschi-Renzi o Renzi-Boschi (meglio conosciuto come riforma costituzionale, ndr) è stato approvato in modo del tutto singolare da un Parlamento eletto in base ad una legge elettorale che è stata dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 1 del 2014.

Il suo giudizio è severo anche rispetto al Senato?

In riferimento ad esso sarebbe più corretto parlare di revisione delle sue funzioni e non di abolizione come forse sarebbe stato, anche se in un’ottica che non condivido, più chiaro. La diminuzione del numero dei senatori permetterebbe solo una contenuta diminuzione della spesa, che resterebbe comunque elevata considerando la struttura amministrativa nel suo insieme.

Tra i benefici vi dovrebbe essere un processo legislativo più veloce...

Io condivido sul punto il rilievo svolto dal Procuratore generale della Corte di Cassazione, Pasquale Ciccolo, il quale ha affermato che il nostro Paese non ha bisogno di più leggi ma di leggi più chiare che non richiedano per essere comprese la palla di vetro di un indovino. Si tratta di porre un freno alla proliferazione legislativa, che rende la disciplina di alcune materie un groviglio inestricabile. Ricordo una famosa bacchettata di Amintore Fanfani ad alcuni parlamentari per non aver adeguatamente controllato che una legge in discussione era in aperta contraddizione con una approvata dall’altro ramo del Parlamento.

Nel testo della riforma vi è un’accentuazione dei poteri del Governo, quali sono le sue considerazioni al riguardo?

Sostengo la necessità di valutare la riforma costituzionale in combinato disposto con la legge elettorale. A tal proposito vorrei far notare i pericoli che derivano dal giudicare in particolare l’“Italicum” esclusivamente dal punto di vista della governabilità, senza considerare il suo bilanciamento con la democraticità. Può infatti accadere che un partito con il 20 per cento dei voti riesca a governare e condizionare l’elezione delle più importanti cariche istituzionali. In fondo, date le precedenti considerazioni, sarebbero poche le differenze sostanziali con un regime autoritario.

Vi è, inoltre, un problema che riguarda tutta la riforma costituzionale. Di cosa si tratta?

La riforma è composta da decine di articoli, per cui si potrebbe essere d’accordo su alcuni di essi e non su altri egualmente importanti. Ne deriva che può essere difficile esprimere un voto favorevole o contrario al referendum, anche perché alcuni articoli hanno un’ampiezza spropositata e in alcuni passaggi non sono chiari nella loro formulazione agli stessi costituzionalisti. Questa è la ragione per cui il quesito referendario dovrebbe essere unico ed omogeneo sul modello dell’alternativa tra Repubblica e Monarchia a cui è agevole rispondere sì oppure no. Il referendum di dicembre è invece disomogeneo, in quanto riguarda diversi quesiti con la conseguenza precedentemente esposta.

Cosa dovrebbe fare il Premier Matteo Renzi in caso di vittoria del “No”?

Dimettersi analogamente a quanto fatto da David Cameron nel Regno Unito e a quanto richiede la stessa partecipazione al referendum.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:03