Legge di (In)stabilità

Come sempre e sempre di più il problema vero è quello dei conti e della drammatica situazione delle casse pubbliche. Da Mario Monti ad oggi, passati cinque anni, non solo il quadro non è cambiato ma si è ulteriormente e tragicamente aggravato a conferma che gli ultimi tre Premier non ne hanno azzeccata una. Del resto, le ragioni per le quali Matteo Renzi sta giocando sulla data del referendum sono tutte legate alla possibilità di varare una finanziaria suggestiva e promozionale. Va da sé, infatti, che vista l’aria contraria alla riforma costituzionale il Presidente del Consiglio speri di modificarla con qualche promessa di spesa e di contentino elettorale sulla Legge di stabilità. Sta tutto qua il grande pericolo per il Paese, quello cioè che ancora una volta per meri interessi di potere personale si sprechino quelle pochissime risorse disponibili. In fondo questa, da due anni e mezzo, è la tattica del Governo Renzi: debito in cambio di consenso.

Quest’anno poi se possibile lo stato di salute economica del Paese è ancora più cupo, non solo per il quadro di crisi internazionale, ma perché in oltre due anni si sono sciupate inutilmente le occasioni e le risorse a disposizione. Flop con il bonus degli ottanta euro, flop con le elargizioni ad libitum, flop rispetto alle attese con il Jobs Act, insomma una serie di interventi a perdere anziché a guadagnare. Ecco perché oggi le casse pubbliche sono più a secco che mai, il Pil si muove di un nulla, la ripresa e la crescita sono a dir poco risibili. Qui ovviamente niente c’entra la Brexit, come si cerca falsamente di giustificare, anche perché solo un bimbo potrebbe pensare che, a meno di due mesi dal voto inglese, gli effetti possano già farsi sentire. C’entra invece la politica degli sbagli, degli annunci e delle incapacità di un Governo che tutto ha fatto fuorché quel che si doveva. Nulla sul piano fiscale, tanto è vero che la guerra tra Equitalia e i cittadini è più aspra che mai, nulla contro la burocrazia, nulla per lo sviluppo del Meridione, nulla a favore della piccola impresa. Lo stesso Jobs Act è stato un regalo alle grandi aziende, che di certo non rappresentano l’ossatura industriale italiana, che è fatta di piccole e medie imprese. Per non parlare delle banche che si sono aiutate e salvate in ogni modo, senza poi obbligarle a ricambiare con una vera e grande apertura del credito verso l’economia reale. Il risultato di tanta sprovvedutezza non poteva che essere da una parte lo spreco delle risorse disponibili, dall’altra l’assenza di un risultato tangibile in termini di consumi, crescita, investimenti e occupazione. Ecco perché ora il Governo si trova di fronte a un quadro economico pessimo, con una coperta cortissima, che rischia di diventare un tovagliolo rispetto alle necessità e non solo quelle elettorali. Dunque si prende tempo per il voto referendario, per evitare che si trasformi in una Caporetto renziana e per studiare l’elaborazione di una finanziaria che illuda e suggestioni i cittadini.

Comunque sia e comunque vada saranno guai, guai perché si farà altro debito, perché il fisco resterà ossessivo e persecutorio, perché l’Ape è una presa in giro, gli effetti del Jobs Act esauriti e il Sud più disperato e abbandonato che mai. Come se non bastasse, l’immigrazione oceanica sta diventando una bomba sociale ed economica e si paventa la necessità di un intervento militare in Libia con i costi conseguenti. Siamo insomma al redde rationem, per questo il referendum fa paura, per questo Renzi fugge e si nasconde dietro Giorgio Napolitano, per questo Pier Carlo Padoan non sa più dove mettere le mani, per questo infine l’odore degli inciuci e delle larghe intese si è fatto stomachevole.

Aggiornato il 06 aprile 2017 alle ore 16:51