La promessa d’amore

Che Stefano Parisi abbia scollegato la permanenza di Matteo Renzi a Palazzo Chigi dalla eventuale sconfitta sul referendum, ha chiarito tutto sul progetto che Gianni Letta e ovviamente Silvio Berlusconi gli hanno affidato. Parisi, infatti, è uomo troppo intelligente per dire cose tanto significative senza una direttrice di marcia concordata con Forza Italia.

Dunque, oramai è chiaro che la volontà di costituire un’aggregazione moderata sul modello Milano è funzionale ad uno schema di larghe intese, da realizzare con Renzi e con il Partito Democratico. Uno schema indispensabile soprattutto in caso di vittoria del “No” al referendum, per assicurare continuità a Renzi con una maggioranza certa che lo sostenga fino alla fine naturale della legislatura. Va da sé, infatti, che in caso di sconfitta sulla riforma Boschi e di fronte alla richiesta di dimissioni del Premier, solo l’ingresso di Forza Italia al Governo potrebbe evitare il ricorso anticipato alle urne con un Esecutivo guidato magari da Pietro Grasso.

È su questo che la strada di Salvini e Meloni si divide definitivamente da quella di Forza Italia, un bivio tra chi dice “con Renzi mai” e chi invece è disponibile ad affiancarlo. Inutile dunque illudersi, inutile sperare che in Italia possa realizzarsi, almeno per il momento, una vasta area liberale che non sia di provenienza meticcia, che non veda presenze trasformiste e che non profumi d’inciucio.

Del resto, che le larghe intese affascinassero sia Renzi che Berlusconi si era visto con il Patto del Nazareno e con l’ingresso in maggioranza di Denis Verdini, dunque l’attesa di Matteo Salvini, per qualcosa di diverso, è stata tempo sprecato. Che poi tra il dire e il fare ci sia di mezzo il mare è altrettanto vero, perché nelle mani di Salvini e della Meloni resta intatta l’opzione Appendino. Va da sé, infatti, che non si può escludere che di fronte a un’eventuale scelta fra un polo di larga intesa Renzi/Berlusconi e uno grillino, la Lega e i Fratelli d’Italia non convergano sul secondo come è successo a Torino. Sarebbe in quel caso un confronto all’arma bianca, perché i numeri dei due poli testimonierebbero un classico “too close to call” e di certo il Paese si spaccherebbe in due definitivamente.

Entrerebbero in gioco tutte le minoranze di destra e sinistra, collasserebbero i dissenzienti da una parte e dall’altra e il tripolarismo attuale si trasformerebbe in una guerra politica bipolare. Comunque sia e comunque vada che in atto ci sia un terremoto sotterraneo di trasformazione politica è evidente e le titubanze sulla data del referendum e sullo spacchettamento ne sono la plastica testimonianza. È certo, infatti, che prima di stabilire data e modi si prenda tempo per chiudere strategie e accordi da far scattare nel caso di vittoria del “No”, che ad oggi sembra sempre più probabile. Insomma, ancora una volta i gattopardi lavorano incessantemente affinché tutto resti tale e quale e, se vincesse la logica delle larghe intese, il Principe Tancredi stapperebbe champagne.

Aggiornato il 06 aprile 2017 alle ore 16:57