Creatori del populismo all’assalto della democrazia

Oramai la parola d’ordine tra i peggiori responsabili del dilagare dell’antipolitica del populismo è quella: “il popolo non può decidere cose importanti, affidare al voto popolare questioni complesse di organizzazione della vita civile è una follia”. Il nemico è il “populismo”, di cui è stato riscoperto il significato e l’esistenza.

Ma è trasparente l’intuizione di assalire così, senza nominarla, la democrazia. A fare questi discorsi sono quelli che hanno applaudito la distruzione dei partiti. Il sopravvento del komeinismo giudiziario, la discriminazione tra le “masse coscienti dei lavoratori” e le “masse incoscienti del sottoproletariato”. Sono quelli che hanno creato le condizioni per l’esplosione dell’antipolitica demonizzando la classe dirigente senza porsi il problema della sua sostituzione. Sono quelli che hanno vellicato le peggiori aspirazioni, i più vieti e pericolosi luoghi comuni dei censori della politica da bar di periferia. Sono quelli che, fino a l’altro ieri, cercavano in un referendum, oltre alla conferma delle loro peggiori malefatte e, attraverso di essa, la legittimazione di un loro potere ambiguo ed incontrollato.

Renzi, che con il terremoto del Brexit è riuscito a distrarre l’attenzione dalle crepe del suo sistema, si appresta a proclamare che alla sciagura del referendum inglese non bisogna aggiungere quella di un voto negativo al nostro referendum di ottobre. Quelli che hanno sfoderato il loro astio per la democrazia sono lì pronti a dargli bordone proclamando che la gente non capisce niente di Costituzione, di Parlamento e di equilibrio dei poteri e quindi non si deve permettere che questi “ignorantoni” mandino all’aria la “novità” rappresentata da quello scempio. E i governanti dei Paesi europei, si è inteso dire, dovrebbero porsi il problema comune di fronteggiare e combattere il populismo, come se fosse una sottospecie del terrorismo. Ma se c’è in Italia un populismo che rischia di compromettere e disastrare la Repubblica e le sue istituzioni, questo è il populismo di Renzi. Il populismo della sua cosiddetta riforma costituzionale. Ho già avuto occasione di scrivere che il compito specifico con il quale fu costituito il Governo Renzi era quello di “tagliare l’erba sotto i piedi” al grillismo, ai Cinque Stelle ed all’antipolitica montante nel Paese.

Renzi ha dato prova di coerenza (una volta tanto) con questa “ragion d’essere” del suo mandato di governo impostando una riforma costituzionale che è tutta un rimescolio di luoghi comuni dell’antipolitica e dell’antiparlamentarismo. Un grillismo meno intelligente e meno schietto, un capolavoro di ipocrisia dell’antidemocrazia e dell’antipolitica. Non è un’esagerazione polemica. Renzi che ci ammannisce quel mostro del Senato, club del “passatempo” per sindaci e consiglieri regionali dice, “ovvia, così risparmiamo perché i sindaci sono già pagati dai Comuni” oltre a dimostrarsi un balordo pericoloso, è sicuramente l’espressione più becera dell’antiparlamentarismo. Tutta la cosiddetta riforma è un’accozzaglia di norme di stampo “antipolitico” e populista. E se verrà a dirci che bocciare la sua riforma costituzionale in questo momento è qualcosa come provocare un altro terremoto del Brexit, dirà la cialtronata più clamorosa della sua carriera. Perché sarebbe proprio l’eventuale “passaggio” al referendum di ottobre della riforma costituzionale ad aprire una catena di questioni relative all’applicazione di quelle balorde norme ad aggiungersi ai guai del Brexit.

Non solo ma, se è vero che l’Europa “mutilata” della Gran Bretagna dovrà darsi un nuovo assetto, sarebbe, in quel deprecabile caso, proprio il “Senaticchio” sgangherato e di problematico funzionamento a dover affrontare i gravi problemi della applicazione in Italia della nuova normativa europea. Ed allora una cosa sembra evidente: la prima misura da adottare in Italia perché il Brexit non abbia le conseguenze più funeste è proprio quella di respingere la riforma-rottamazione della Costituzione. È tempo di cose serie. E di uomini seri. O andiamo verso una nuova Era della ragione o triste assai sarà il nostro destino.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 21:54