Macerie dentro e fuori: ricordando L’Aquila

sabato 30 gennaio 2016


A distanza di quasi 7 anni, del terremoto che colpì l’Abruzzo – e in particolar modo L’Aquila – nell’aprile 2009, nessuno sembra più ricordarsi. Un evento che ha occupato ampio spazio nell’agenda setting nei mesi successivi al disastro, ma che è stato poi totalmente rimosso, soppiantato da più recenti e catastrofici episodi. Ma di quel triste e tragico evento i sopravvissuti, i parenti delle vittime, gli abitanti di una città per molti versi ancora fantasma, portano addosso ancora i segni tangibili di un dolore del quale non è facile disfarsi. A ricordarci tutto questo, giovedì scorso, la ripresentazione del libro curato dal giornalista della Rai Umberto Braccili, "Macerie dentro e fuori" presso la Biblioteca Marconi. Il volume in realtà era uscito nel 2010, edito in proprio perché nessuna casa editrice se ne era fatta carico. Tra mille difficoltà il volume ha comunque trovato una sua distribuzione: apprezzato da migliaia di lettori è riuscito a ritagliarsi uno spazio anche all’interno della fiera editoriale di Torino, ove il suo autore è stato invitato nel 2011. Questa ri-presentazione ha rappresentato il preludio ad una serie di incontri di approfondimento sociologico, psicologico, antropologico, tecnico, cinematografico, che avranno luogo nei prossimi mesi nella sede dell'associazione "Nel Blu Studios", di Roma. Questo ciclo di iniziative costituirà anche l'occasione per il lancio di un concorso di corti a tema sul rapporto tra l'uomo e il dolore conseguente ad un evento "catastrofico".

Ma perché tornare su un evento avvenuto, ormai, quasi 7 anni fa? Perché il dolore dei sopravvissuti non si è estinto, perché i colpevoli non sono stati ancora individuati. O puniti. Perché chi ha costruito le case “di burro” è lì a ristrutturale. Perché i genitori delle vittime si sono sentite – e tuttora si sentono – abbandonate da quelle istituzioni che avrebbero dovuto vigilare sulla vita dei loro figli. Perché le conseguenze con cui chi è sopravvissuto deve combattere sono ancora lì, sotto gli occhi di tutti: la ricostruzione va a rilento, alcuni tra i sopravvissuti sono ancora alle prese con la cura “delle ferite”, fisiche e psicologiche, e sono costretti a far fronte a tutto questo senza sovvenzioni o sussidi. Perché si è smesso di interrogarsi sul futuro de L'Aquila. Perché nessuno ha detto dove siano finiti i fondi raccolti per le vittime. Perché quanto accaduto continua ad accadere e non deve più passare sotto silenzio. Perché solo continuando a parlarne e a ricordare si può evitare che accada ancora. E ancora.

Troppi, in Italia, i terremoti per cui si è sofferto, i morti per cui si è pianto, senza che questo permettesse di avere uno Stato capace di stare più vicino alle vittime, ai feriti, ai familiari. Che prevenisse situazioni di pericolo, che perseguisse i responsabili. Perché ad una tragedia ne succede sempre un'altra ed il "morto fresco" fa più notizia. E allora torniamo e fermiamoci ad analizzare cosa è avvenuto a L'Aquila, e perché. Si resta con le macerie delle case crollate, e per molti con il lacerante dolore della perdita di una persona cara: solo una consapevolezza collettiva ci farà evitare nuove tragedie. La giornata della memoria è appena trascorsa e l'imperativo è comune: non dimenticare. Specialmente se si pensa che, forse, quella tragedia avremmo potuto evitarla.


di Elena D’Alessandri