La “Città proibita”<br/>che piace ad Alfano

Le intenzioni dello scrivente non sottendono certo una malcelata difesa dei dimostranti. Ma non si può certo negare che, basti vedere in tivù la faccia di Angelino Alfano per subito nutrire una sana voglia di menare le mani contro questo Stato, contro certi “vertici istituzionali”, aggrappati a poltrone e stipendi più di una resina epossidica su gomma e fibre plastiche.

Il problema è che, dopo tanti tentativi, con una lattina di diluente nitro puoi staccare la resina dai laminati plastici, diversamente non è ancora nota la formula che ci possa liberare di Alfano e compari. “Almeno evitasse di parlare, di strafalciarci gli zebedei con prediche e moralismi”, sottolinea un avventore in un bar di periferia. Invece no, il canovaccio teatrale di Alfano rispolvera dalla notte dei tempi il predicozzo democristiano anni Sessanta: quello in uso un tempo ai titolari dell’Interno per dare del delinquente ad operai, metalmeccanici e disoccupati.

“Siamo pronti a considerare la chiusura dei centri storici delle città se, in base alle informazioni pervenute, si può ritenere che le manifestazioni si trasformino in saccheggi”, ha detto il ministro dell’Interno Alfano in merito agli scontri romani sull’emergenza abitativa. Stendiamo un velo pietoso sull’uso della lingua (avrebbe dovuto dire “se si dovesse ritenere”), ma sappiamo come l’italiano rabberciato piaccia alla forza bruta in divisa. Andiamo oltre. Alfano inizia così a dare un contentino a quell’alta burocrazia che nei “salotti buoni” romani (i vari circoli Aniene, Tevere Remo, Tennis Parioli, Canottieri Lazio, Golf…) chiede da tempo, ed in maniera informale, che vengano azionate misure di prevenzione contro i diseredati (disoccupati e senzatetto).

A raccogliere le lamentele della gente agiata provvede su Roma la ministra Lorenzin (suffragetta velleitaria della Sanità), ospite un giorno sì e l’altro pure di alti dirigenti di ministeri ed enti, gente che notoriamente paga rette annue da oltre 10mila euro per blindarsi nei già citati “circoli esclusivi”. Di tanto in tanto anche Alfano (quando non torna nella sua Agrigento) sverna nei club romani. Ecco che i due si confidano, certi che il loro voto provenga dall’alto parassitismo di Stato. Concludono che non è possibile far venire meno scorte, auto blu ed armigeri nei quartieri più esclusivi di Roma, pena deludere le aspettative di chi non gradisce la presenza degli esclusi, disoccupati e senzatetto.

“È inaccettabile che sotto accusa finisca la polizia. Noi siamo dalla parte di chi difende la sicurezza nelle nostre città”, ha detto il ministro in conferenza stampa, agitando le foto del solito dimostrante. Anche il rito proviene da un lontano passato: ci ricorda tanto quel ministro dell’Interno che, nei lontani anni ‘70, mostrava ai giornalisti sempre e soltanto la solita foto simbolo, quella scattata da Paolo Pedrizzetti durante i disordini di Milano del maggio 1977, immortalando il dimostrante che a volto coperto sparava ad altezza d’uomo. Per quanto tempo Alfano ci strafalcerà gli zebedei con simili baggianate? Soprattutto, quando la smetteranno i poliziotti di pestare la gente inerme che passeggia? Alfano non si confronta e va giù duro con la logica del disco rotto: “La polizia è un organo sano… noi difendiamo la polizia e riteniamo inaccettabile che i centri storici delle nostre città vengano saccheggiati”. Eppure, per bocca dei commercianti romani è emerso che nemmeno una vetrina è stata infranta, non sono state divelte insegne, soprattutto le scaramucce si sono concentrare solo a cospetto del ministero del Welfare (leggasi Lavoro, qualcosa di esotico per l’Italia di oggi).

Intanto qualcuno ci rivela che sempre più frequenti sarebbero le telefonate di eleganti mogli e comari di potenti ai numeri del “pronto intervento” (113, 112 e 117): segnalerebbero “l’aggirarsi di loschi disoccupati nei pressi” del loro elegante portone. Lesta la risposta di Alfano: “Sono contrario a prevedere un codice identificativo per le forze dell’ordine che prestano servizio durante la manifestazioni, anzi se questi sono i manifestanti l’identificativo lo metterei a loro e non alla polizia”. È evidente che sono forti le pressioni perché si schedino i disoccupati: “Gente senza un lavoro e pronta a qualsiasi forma di violenza, furto, prevaricazione” suggerisce una filantropa dei “circoli bene”.

Sappiamo quanto la solidarietà sia ormai bestia pelosa e ipocrita (si dice alloggi nelle cucine dei ricchi, nel secchio dei rifiuti). Ecco che, in tivù il ministro sorriderà a trecentosessanta denti ai salvati dalle carrette del mare. Ma lontano dai riflettori lavorerà perché la polizia politica possa trasformare i disoccupati di lungo corso in nemici dello Stato, in marmaglia da assicurare alle nuove carceri. Intanto l’esercito dei senza lavoro aumenta. A conti fatti si sarebbe superato il limite dei venti disoccupati per ogni tutore dell’ordine: c’è di che sognare una presa del Palazzo.

Aggiornato il 05 aprile 2017 alle ore 20:38