Democrazie e tutela<br/>dei dati personali

Molto si è detto sulla tutela dei dati personali in ordine al loro utilizzo criminale e/o illecito (furti di personalità, o per operazioni contro il patrimonio, per esempio).

Va detto che la trattazione di questo delicato argomento si verifica ad ondate in seguito a qualche evento sensazionale. Faccio qui riferimento al caso Wikileaks, fra i più recenti. Quando se ne parla le anime belle gridano allo scandalo perché scoprono che l’intero pianeta è sotto registrazione della struttura Echelon. Si scopre che la superficie dell’intero pianeta è stata fotografata. Si scopre che specifiche e ben nascoste strutture statali in Italia stanno solamente immagazzinando quotidianamente, e da anni, la bellezza di oltre cinque miliardi di conversazioni, di transazioni internet, di comunicazioni via etere o via satellite. Per farne cosa? La situazione negli altri Paesi è pressoché simile. Questa è la domanda alla quale le democrazie compiute e avanzate devono dare al più presto una risposta adeguata.

Le dimensioni delle istituzioni che interagiscono e si muovono all’interno - e talvolta fuori - delle regole delle democrazie rappresentative, spesso rispondono a logiche che non sempre coincidono con le esigenze di trasparenza dei processi decisionali che dovrebbero essere il cardine delle democrazie compiute. Alcuni settori dell’opinione pubblica parlano di esercitare controlli stringenti sulle strutture od organizzazioni statali o di imprese multinazionali o di entità aziendali che producono alte tecnologie che affrontano altissimi costi di ricerca e sviluppo. La difesa di queste produzioni dalle ingerenze di altri Paesi concorrenti o addirittura nemici per il tramite di tecniche di ingegneria sociale e/o di spionaggio industriale vero e proprio, va oltre ogni retorica letteraria o della moda politica del momento.

Il dopoguerra ha trasformato i perimetri di azione delle strutture di intelligence: dal quadrante militare (mai abbandonato, però) a quello della vera e propria guerra economica tesa a fiaccare le capacità produttive del Paese bersaglio a scopi egemonici. Se ne vedono da tempo gli effetti sulle speculazioni telematiche di finanza creativa, che ha demolito il settore produttivo e industriale nella gran parte dell’Europa comunitaria. Ecco il nodo gordiano delle democrazie moderne: oscillare tra le esigenze di trasparenza garantista e la necessità di attuare ogni iniziativa che tuteli la sicurezza dello Stato e del suo network produttivo, soprattutto che le sue conoscenze tecnologiche (know-how) non cadano in mani inopportune. La difesa della sicurezza nazionale è continuamente uno degli argomenti a tutela delle strategie imperiali degli Stati Uniti sul mondo. Dietro queste strategie ci sono potentissime agenzie governative che si muovono liberamente riuscendo perfino a condizionare le decisioni della classe politica americana fino alla Casa Bianca.

La possibilità di limitare il campo di manovra di queste strutture titaniche che muovono miliardi di dollari fuori bilancio federale o miliardi di euro sempre fuori bilancio nei Paesi dell’Unione Europea dipende dal livello di conoscenza in possesso dei politici di turno. Il problema che le conoscenze richieste sono molto complesse e quindi fuori della portata del 99 per cento dei politici attualmente in carica nei Paesi occidentali. Del resto, democrazia compiuta significa apertura e permeabilità della società al mondo esterno, alle immigrazioni, alle comunicazioni. L’apertura, tuttavia, comporta rischi altissimi in termini di sicurezza, specialmente in relazione al terrorismo, alla criminalità che si insinua nei flussi di migranti che da anni arrivano nel nostro Paese, in particolare tra la plateale indifferenza degli altri Stati membri dell’Ue!

Diversamente dalla catena di comando corta esistente nelle dittature prive di controlli parlamentari, nelle democrazie avanzate ogni decisione deve essere la non facile sintesi delle volontà e interessi rispettivamente dei cittadini in primo luogo, delle Authority di tutela dei dati personali, della operatività delle strutture informative nazionali di raccolta dati, delle compagnie telefoniche, delle banche e di tutte le organizzazioni che accumulano milioni di dati per lo svolgimento del proprio lavoro, e infine delle coalizioni politiche in carica al momento. Non può quindi esistere una risposta modulata sulle mode o sulle necessità demagogiche in voga. Neanche tuttavia è opportuno caricare di un problema dalle molteplici sfaccettature appena sopra accennate alle Authority dei dati personali.

È necessario un profondo ripensamento del tipo di rapporto della classe politica con le strutture informative statali, in modo che le informazioni non siano sottovalutate quando arrivano sui tavoli dei ministri coinvolti o, peggio, infilate in un cassetto perché non utili a fini meramente elettorali.

Aggiornato il 05 aprile 2017 alle ore 20:55