Dell’Utri: buccia di banana per Alfano

La storia di Marcello Dell’Utri non si può dire che sia di quelle a lieto fine. Comunque vadano le cose in Cassazione. La vicenda, ormai arcinota, dell’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa è piuttosto complessa e non esclude la presenza di profili persecutori legati alla durata ultradecennale dell’intero iter processuale e all’età anagrafica dell’imputato. Si sospetta che qualche peso abbia avuto il passato politico di Dell’Utri che è stato cofondatore del partito Forza Italia, prima, e del Popolo della Libertà, dopo. Neanche può essere escluso il fatto che Dell’Utri paghi il suo rapporto di vicinanza a Berlusconi. A entrambi la magistratura inquirente ha attribuito una sorta di peccato originale nell’essere stati personaggi approdati alla sacralità della politica pur mantenendo comportamenti, a giudizio dei suoi rappresentanti più autorevoli, moralmente “disinvolti”.

E’ vero che la valutazione di ordine etico su entrambi non sia mai stata veramente disgiunta dall’accertamento della sussistenza di concrete responsabilità penali individuali. Anche l’ultimo provvedimento giudiziario, quello mediante il quale è stato disposto l’arresto di Dell’Utri prima della pronuncia definitiva della Suprema Corte di Cassazione, finisce per assumere un carattere propagandistico volto più a dimostrare la presunzione del fattore incriminante di una naturale predisposizione a delinquere dell’imputato, piuttosto che a garantire l’effettiva esecutività della pena una volta confermata, in via definitiva, la condanna penale.

Altro sarebbe stato se la Procura Generale avesse atteso la pronuncia della conferma della condanna, prevista in queste ore, magari disponendo successivamente l’ordine di carcerazione. Si sarebbe offerta la possibilità al condannato Dell’Utri di presentarsi spontaneamente per scontare la pena inflittagli. Invece adesso non sapremo mai quale davvero sarebbe l’intenzione dell’ex parlamentare: costituirsi o fuggire. In tal modo gli è stata negata la possibilità di adempiere un dovere morale, prima ancora che giuridico. Non è escluso che questa improvvisa azione abbia come scopo recondito quello di influire sui supremi giudici dando, in vista del pronunciamento, una rappresentazione del comportamento dell’imputato assimilabile alla dichiarazione di colpevolezza di un reo confesso.

Per questa ragione ciò che si sta svolgendo intorno alla persona di Dell’Utri meriterebbe una dose supplementare di umano rispetto e di prudenza nella esposizione delle opinioni, soprattutto da parte dei media. Invece non è così. Nell’occasione si è scatenata la solita inaccettabile canea giustizialista che con la vicenda Dell’Utri è andata a nozze e si è pure assicurata la pensione per la vecchiaia. Fin qui, nessuno stupore. Era prevedibile che una certa controparte si servisse dell’abusata equazione Dell’Utri=mafia, per i soliti scopi di propaganda. D’altro canto, nel corso della cosiddetta “seconda repubblica” non si può dire che la categoria concettuale dell’odio politico sia stata abrogata. Anzi, si può asserire che abbia felicemente prosperato nella divisione ontologica dell’antiberlusconismo dal suo opposto: il berlusconismo.

Nella coppia alternativa di amico-nemico, di schmittiana memoria, si è condensata la storia dell’ultimo ventennio, senza particolari ripensamenti critici o pentimenti. La presenza in campo di Berlusconi ha dato una chance all’idea manichea della divisione del mondo secondo il principio duale, costitutivo del Creato, dell’antitesi tra il bene e il male. Luce e tenebre. Nel mezzo, nessuna possibilità per le sfumature del grigio. Dunque, tutto ciò ci poteva stare. E’ in fondo comprensibile perché era già nel conto. Quello che invece non è giustificabile è stato il comportamento vanaglorioso dell’onorevole Alfano che ha ritenuto, con enfasi di pessimo gusto, di dare personalmente la notizia della “cattura” di Dell’Utri, come se si trattasse di un pericoloso criminale.

Sovente la politica pecca di indecenza. L’uscita di Alfano è uno di quei casi emblematici. Già rappresentare Dell’Utri come un deliquente in fuga, meritevole di una “cattura” alla stregua di un qualsiasi volgare assassino o trafficante di droga, è un atto di umana viltà. E’ anche un gravissimo gesto di scorrettezza politica. Ai lettori non sarà sfuggito il contesto dal quale Alfano ha annunciato la “cattura” del latitante. Non la sede del ministero dell’Interno di cui è titolare, come sarebbe stato logico. L’annuncio Alfano ha preferito farlo dallo sgabuzzino della sala dove si teneva l’assemblea costituente del Nuovo Centrodestra. La politica sa essere squallida, ma in questo frangente si è superata.

Tuttavia, è ipotizzabile che il tentativo, volgare e goffo, di volgere a proprio vantaggio elettorale il dramma personale di un uomo che, proclamandosi innocente, deve sottostare ai rigori di una giustizia che lo giudica colpevole, alla fine possa trasformarsi in un boomerang per i bizzarri personaggi pirandelliani che animano la formazione del “sedicente” Nuovo Centrodestra. Agli elettori non mancherà di far notare ad Alfano il suo contegno pusillanime, tipico dei parvenu. Oggi costui gode della bassa fortuna di una persona che è stata, a torto o a ragione, suo compagno di viaggio nella vita politica, per tanto tempo. E’ quindi legittimo domandare ad Alfano, perché abbia accettato per venti anni la presenza di Dell’Utri ai vertici del suo Partito senza battere ciglio.

Se davvero pensava che il suo conterraneo fosse un fior di deliquente perché non l’ha detto subito? Perché non ha declinato l’invito di Berlusconi ad assumere la carica di segretario del Pdl dicendo chiaramente al capo: “non posso guidare un partito che ha tra i suoi dirigenti Dell’Utri”? Perché ha taciuto? Evidentemente l’ambizione personale gli aveva tolto l’uso della parola? E oggi che Berlusconi vive un momento di difficoltà l’ha ritrovata la favella? In un’intervista dello scorso anno Alfano lo definiva un povero disgraziato. Conoscendo il livello culturale di Dell’Utri è quanto meno dubbio che lo fosse, per il semplice motivo che un uomo che possiede un’amplissima biblioteca, ha di che vivere e di che nutrire lo spirito senza dover ricorrere all’altrui condiscendenza o di essere socialmente accettato.

Chi invece rischia di fare la fine del povero disgraziato è proprio lui, il rampante presidente del Ncd. La sua improvvida uscita ha contribuito a creare un ulteriore vulnus tra i suoi e i militanti di quel partito, Forza Italia, con il quale egli stesso dichiara di volersi riunire per assicurarsi la poltrona alle prossime elezioni nazionali. E’ naturale chiedersi: ma come pensa di fare a stare insieme a coloro che, con i suoi comportamenti, sta offendendo in modo così doloroso? Quella che traspare è la volontà dei trasfughi dal Pdl, di operare un gigantesco moto di rimozione psicologica del proprio passato. E’ tipico della condizione servile rivoltarsi contro i vecchi padroni, negando di essergli appartenuti. I servi non hanno una Storia, possono solo sperare nel futuro. Alfano lo sa bene, tanto che lo ha detto ai suoi sodali nel corso dell’assemblea costituente.

A proposito del voto ha affermato: “Chi prova nostalgia voti per Forza Italia, chi vuole il futuro voti per noi”. Proprio così, niente storia, solo futuro. Nel Nuovo Centro Destra non si scorgono eroi, poeti o navigatori. Il passato è negato alla memoria. Tuttavia, resta francamente incomprensibile il “modus agendi” di uomini che pure hanno goduto individualmente del beneficio di essere nella scia di un leader che ha ottenuto tanto per loro. Stupisce che siano così presi da questo impulso irrefrenabile a comportarsi da servi della gleba in fuga, piuttosto che stare lì, ritti davanti alla Storia, a invocare per se stessi la dignità degli uomini liberi, compiendo un doveroso atto di verità: chiedere scusa al popolo che ha votato il Pdl (con Silvio Berlusconi presidente) e togliere il disturbo.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:02