Quello che non sappiamo dell’universo

mercoledì 3 marzo 2021


Quanto sappiamo dell’universo è come un bersaglio che non si riesce a colpire.

Nelle profondità delle montagne si nascondono fiori e forme sulle rocce, che i microbiologi studiano senza mai chiudere il cerchio. Tanta è variegata la natura che ci circonda e che a oggi non sappiamo neanche esista. I fisici, nel più grande centro di fisica sul Gran Sasso, in Italia, studiano e si interrogano sulla materia oscura, che non sappiamo cosa sia.

Pensiamo ci sia ma non l’abbiamo mai rilevata. Anche i microbiologi chiamano “materia oscura” i circa trentacinque trilioni di specie microbiche, conoscendone allo stato solo un milione circa. La “materia oscura” per i fisici è una sorta di nuova particella, non ancora scoperta. L’ipotesi è che essa esista perché è coerente con tutti gli studi scientifici. Potrebbe non esserci, ma gli scienziati sono convinti ci sia. Finché non viene rilevata, tuttavia, non se ne ha certezza. Tutti gli studi vanno nella direzione della sua esistenza.

La materia oscura è a oggi una delle più grandi incognite della fisica delle particelle. Si tenga presente che tutta la materia, che dovrebbe essere nell’universo, per circa l’ottantacinque per cento è invisibile. Queste particelle attraversano il nostro corpo mentre viviamo, per lo più senza alcuna interazione. I fisici cercano di rilevarla a duemila metri sottoterra, perché in tal modo si è protetti dalla radiazione cosmica. Ci sono cioè protoni o ioni più pesanti, che scaldano l’atmosfera, creano una pioggia di particelle che ci colpisce in superficie; la montagna fa da filtro, creando la protezione chiamata “silenzio cosmico”. Non si sentono cioè e non si è colpiti da raggi cosmici. Il rilevatore con cui si sperimenta l’esistenza della materia oscura si avvale di cristalli, che emettono luce la quale viene rilevata attraverso due fotomoltiplicatori ai lati dei cristalli. Si leggono i fotomoltiplicatori, registrandone la luce.

Noi tutti ruotiamo in un mare di particelle di materia oscura. Il nucleo del rivelatore è un cristallo di ioduro di sodio. Quando il cristallo viene toccato dalla particella di materia oscura, si vede un lampo di luce, che viene rilevato da dispositivi inseriti ai bordi del contenitore, in seguito quei dispositivi traducono la luce in impulso elettronico che arriva sul computer che dovrebbe individuare così la particella di materia oscura. I modelli super-simmetrici dei fisici prevedono la materia oscura ma non ne hanno una chiara idea.

Secondo gli scienziati, la materia oscura ha e deve avere una massa enorme. È inimmaginabile per i fisici – figuriamoci per noi tutti – che ci sia tanta altra materia nell’universo, rispetto a quanto sappiamo. Non sappiamo cosa sia, dobbiamo scoprire se davvero esista, la materia oscura, o se ci sia un’altra spiegazione a cui non si sia ancora pensato. La scienza è anche questo: a volte passano anni a cercare una cosa che, poi alla fine, non c’è. E così bisogna cambiare il modo di pensare. Ad oggi, sono venti anni che si cerca di capire e di rilevare la materia oscura.

La scienza è paragonabile ad un viaggio, che conduce in posti in cui non si è mai stati. Alcuni studiano e si concentrano sulle scienze naturali, altri preferiscono capire come sia nato l’universo, altri concentrano i propri interessi e gli studi sulla coscienza. Sul come e perché, cioè, l’attività biologica del cervello produca l’esperienza cosciente. La spiegazione della coscienza è stata uno dei problemi più importanti del ventunesimo secolo, al pari delle origini dell’universo, l’origine della vita e altre domande fondamentali. È – e rimane – un mistero capire come l’attività biologica del cervello produca gli stati mentali. Una delle difficoltà dello studio della coscienza è che si tratta di un fenomeno personale. Sappiamo cioè di essere coscienti ma non abbiamo accesso, per lo studio, ai nostri stati mentali. Con degli elettrodi sulla testa, tramite la forza del pensiero, oggi riusciamo a muovere mani artificiali. Si cerca quindi di capire quali sono i pensieri per far muovere la mano artificiale, quale sia la differenza tra pensare questo o qualcosa d’altro per cui la mano non si muove. Il cervello impara così ad interagire con il corpo, con una mano “esterna”, artificiale, robotica. La mano robotica, con il nostro pensiero, si muove effettivamente.

L’azione fa parte dell’essere cosciente. La coscienza non è un’unica cosa ma è piuttosto un insieme di vari tipi di meccanismi che caratterizzano la mente umana adulta, che sappiamo essere una mente cosciente. Come si possono esplorare gli stati mentali? Tutto ciò che accade nella nostra mente deriva dall’attività biologica del cervello. Il cervello è un organo molto complesso composto da circa ottantotto miliardi di neuroni, dove ciascun neurone ha un legame con circa diecimila altri neuroni. Il tentativo attuale è quello di capire scientificamente il rapporto tra la mente e il corpo. Ad esempio, mediante un algoritmo, un processo creativo per definire la coscienza, la consapevolezza di sé. È emozionante relazionarsi con queste questioni fondamentali, cercare di risolvere i problemi più difficili. Che cosa ci stiamo a fare altrimenti qui?

I microbiologi studiano le condizioni estreme in cui vivono gli organismi per capire dove potrebbe esserci vita nello spazio. Nelle zone geotermicamente attive, dentro le sorgenti che emettono vapori bollenti, ci sono comunità microbiche che vivono a settanta e passa gradi di temperatura sopra lo zero, di cui si studia il Dna. Gli scienziati sono certi vi sia vita nello spazio. Ci si chiede, tuttavia, quale tipo di vita, e che tipo di coscienza possa esserci. Potrebbe essere vita che noi esseri umani, con i nostri sensi, non riusciamo a percepire. Esseri umani, vegetali, funghi, insetti, fiori, apparteniamo tutti al dominio degli eucarioti, diversi dagli archaea e dal più grande dominio dei batteri. Non solo i microbiologi sanno poco su batteri ed archaea, ma le conoscenze scientifiche si basano su un frammento dell’intera varietà delle forme di vita, e solo con il sequenziamento del Dna si è cominciato a scoprire l’enorme maggioranza di vita sconosciuta.

A quattromilatrecento metri di altezza, alle Hawaii, un immenso telescopio esplora il centro della galassia afferrandone la luce. Si osservano le stelle che si formano. Diversi aspetti della luce, così presa, possono dirci qualcosa della chimica della zona in cui si formano le stelle. Precisamente, attraverso la rilevazione di monossido di carbonio si può sapere molto sulla formazione delle stelle. La nube di gas intorno a una stella che si forma è composta da tante molecole, tra cui il monossido di carbonio, che è per noi il gas di scarico tossico delle automobili. Il carbonio è fondamentale, per capire come si formano i pianeti e per capire come si formano le molecole necessarie alla vita.

I geo-biologi, nelle profondità del mare, studiano i microorganismi che tra le rocce si nutrono di gas metano, che così non arriva in superficie. Il metano è un gas serra molto più potente dell’anidride carbonica in termini di potenzialità di riscaldare il pianeta. I microrganismi – granchi yeti che mangiano batteri – sfruttano questo gas per sopravvivere.

Adesso grazie alla fisica quantistica sappiamo che tempo e spazio sono connessi e che più ci si avvicina al centro della Terra, più i nostri orologi rallentano. È un effetto della relatività teorizzato – è la relatività generale – da Albert Einstein cento anni fa: il tempo è relativo. Se c’è della massa pesante, questa deforma lo spazio-tempo intorno a noi. Il tempo cambia e possiamo sperimentarlo. Se si solleva l’orologio di un paio di centimetri, il tempo accelera: si tratta di punti decimali, dal dieci al diciottesimo. In misura minima, ma accelera.

Solo gli orologi atomici possono rilevarlo. L’orologio è proprio un “sensore” – qualcosa che misura – quantistico (agli orologi atomici si deve il funzionamento della intera costellazione Gps). L’orologio atomico più preciso al mondo è l’orologio a reticolo ottico di stronzio, il quale nell’arco di tutto l’universo perderebbe meno di un secondo di tempo. È la strumentazione migliore che abbiamo.

Il tempo è un vero paradosso perché è una grandezza difficile da definire concettualmente ma che è molto più facile da misurare di ogni altra grandezza. Spostandosi verso una montagna, il tempo rallenta. Lo stesso succede andando verso il centro della Terra. Se ci si muove verso una massa più grande, il tempo rallenta. La questione ruota tutta intorno alla massa. Nell’universo ci sono esplosioni in cui confluiscono i buchi neri, vengono emesse onde gravitazionali, possiamo persino sentire l’eco del Big Bang che ritorna dal l’estremità dell’universo: chissà cosa altro potremo vedere grazie all’orologio atomico.

I neuropsichiatri si interrogano su come il nostro cervello possa avere la cognizione del tempo, posto che non ha sensori adatti alla misurazione del tempo. Il tempo è per noi, per forza, una interpretazione. Un’idea è che la nostra esperienza del tempo avvenga attraverso il modo in cui le cose cambiano nella nostra percezione visiva. Se ci sono molti cambiamenti, allora la durata sembra più lunga. Se non cambia niente, la percezione del tempo viene indebolita. Si cerca tuttora scientificamente una spiegazione univoca della percezione umana riguardo il tempo. Per capire il rapporto tra cervello e coscienza è comunque necessaria la multidisciplinarità tra – almeno – gli studi dei matematici, dei fisici e di esperti di realtà virtuale. Le scoperte scientifiche sono processi imprevedibili. Abbiamo capito finora cose che la nostra mente non avrebbe potuto capire. Attualmente, ci stiamo muovendo verso la conoscenza, ma siamo solo all’inizio.


di Francesca Romana Fantetti