Interfacce cervello-computer: il migliore futuro possibile

L’obiettivo è un’interfaccia cerebrale completa uomo-computer, che aumenterà la probabilità che l’umanità abbia il migliore futuro possibile. Già oggi impiantiamo chips nel cervello, ad esempio con la stimolazione cerebrale profonda per alleviare i sintomi del morbo di Parkinson, o per ripristinare la vista, o gli impianti cocleari. Non deve sembrare cioè strano inserire dispositivi nel cervello per leggere le informazioni, e ritrasmettere. Le evoluzioni sono rapide, “immagazzinarle” lo è ancora di più. Si pensi alla chirurgia degli occhi, temibile solo vent’anni fa, mentre oggi migliaia di persone ogni anno si sottopone ad interventi chirurgici – di routine – per la vista. Ci siamo abituati ai pacemaker, ai defibrillatori, ai trapianti di organi. Dapprincipio li abbiamo considerati al pari di Frankenstein. Gli impianti cerebrali avranno lo stesso destino.

Sorprendentemente non dovremo neanche essere in grado di comprendere l’origine e l’organizzazione tutta dei neuroni nel cervello, nei minimi dettagli, per fare progressi. Basta infatti oggi usare l’ingegneria per fare parlare i neuroni ai computer, e l’apprendimento automatico fa gran parte del resto. Ci insegnerà tutto il cervello. Sorprendentemente quanto straordinariamente. Gli elettrodi utilizzati oggi sono adatti a semplici registrazioni elettriche o per la stimolazione elettrica. Per una interfaccia cerebrale efficace, si necessita di qualcosa di diverso dagli elettrodi rigidi e monofunzione, qualcosa con la complessità meccanica dei circuiti neurali, che possa registrare e stimolare, e che sia in grado di interagire con i neuroni chimicamente, meccanicamente ed elettricamente. Elon Musk ed il suo team di geni stanno lavorando ad un dispositivo per l’interazione cervello-computer ad alta larghezza di banda, di lunga durata, biocompatibile, comunicativo-bidirezionale, e che preveda un impianto nel cervello non invasivo.

Potremo così parlare – bidirezionalmente – con un milione di neuroni contemporaneamente – anche se in realtà non sappiamo ancora bene come parlare ai neuroni. È abbastanza complicato infatti decodificare l’attività di cento neuroni – da fermi – attualmente si sta cercando di imparare a cosa corrisponda una serie di attività specifiche abbinate a semplici comandi. Con milioni di segnali, non è facilissimo. Per intenderci, è come il modo in cui Google Translate utilizza essenzialmente due dizionari per scambiare parole da un dizionario all’altro, cosa che è del tutto diversa dalla comprensione effettiva della lingua. È un’impresa davvero ardua imparare a decifrare il codice di milioni di neuroni che chiacchierano simultaneamente. Mettiamola così: è facile colonizzare oggi il pianeta Marte? Solo ieri era ritenuto altrettanto difficile immaginare il telefono, l’automobile o lo sbarco sulla luna. Si trattava di sfide tecnologiche insormontabili per persone di quel tempo. E ci sarà sempre la tecnologia del futuro che appare inconcepibile alle persone del passato. Se tutti quelli che conosciamo, nei prossimi anni, avranno l’elettronica nel cranio, si sarà verificato quel cambiamento di paradigma che avrà determinato la svolta ed il cambiamento fondamentale per l’umanità.

Oggi si sta sviluppando un’interfaccia in seta – la seta può essere arrotolata in un fascio sottile e inserita nel cervello in modo relativamente non invasivo. Ivi si diffonderebbe intorno al cervello e si scioglierebbe nei contorni come una pellicola termoretraibile. Sulla seta ci sarebbero transistor in silicio flessibili. Si stanno creando elettrodi stampati sulla pelle come tatuaggi removibili – una tecnica utilizzabile nel cervello. Si sta creando una sorta di rete neurale su nanoscala rivestita di elettrodi così piccola da potere essere iniettata nel cervello con una siringa; ed altre tecniche non invasive prevedono il passaggio attraverso le vene e le arterie – il modo meno invasivo è giudicato qualcosa che entra come uno stent duro come attraverso un’arteria femorale e alla fine si dispiega nel sistema vascolare per interfacciarsi con i neuroni. I neuroni consumano molta energia, quindi c’è una sorta di rete stradale per ogni neurone; piccoli impianti neurali “a circuito chiuso” che potranno sostituire i farmaci; l’inserimento di un milione di elettrodi in un dispositivo delle dimensioni di due nichel impilati. È già in uso la stimolazione magnetica transcranicaTms – in cui una bobina magnetica all’esterno della testa crea impulsi elettrici all’interno del cervello stimolando determinate aree neuronali mirate, con tecnica completamente non invasiva.

C’è poi la progettazione di un’interfaccia chiamata “polvere neurale”, ovvero minuscoli sensori al silicio da cento nani millimetri – la stessa larghezza circa di un capello – che vengono spruzzati attraverso la corteccia. Sopra la pia madre viene posizionato un dispositivo di tre millimetri in grado di comunicare con i sensori di polvere tramite gli ultrasuoni. La polvere neurale è stata ispirata, sia dalla tecnologia dei microchip, che dai principi Rfid, gli stessi che consentono ad esempio alle carte magnetiche degli hotels di comunicare con la serratura della porta senza stabilire un contatto fisico. C’è l’optogenetica in cui si inietta un virus che si attacca a una cellula cerebrale facendola successivamente stimolare dalla luce o persino usando nanotubi di carbonio, un milione dei quali possono essere raggruppati insieme e inviati al cervello tramite il flusso sanguigno. Un’interfaccia cerebrale completa, fluida, biocompatibile e con un’ampiezza di banda elevata costituirà una parte di noi stessi come lo è la corteccia e il sistema limbico. L’interfaccia darà al nostro cervello la capacità di comunicare in modalità wireless con il cloud, con i computer e con il cervello di chiunque abbia un’interfaccia analoga. Tale flusso di informazioni tra il nostro cervello e il mondo esterno sarà così semplice, come il pensiero che oggi ci passa per la testa.

Elon Musk ha chiamato l’interfaccia dell’intero cervello e le sue numerose capacità uno “strato terziario digitale”, vale a dire che il nostro cervello ha due strati: 1. Il sistema limbico animale – il nostro strato primario – e 2. La nostra corteccia avanzata – il nostro strato secondario. L’interfaccia è il nostro 3. Livello terziario, una nuova parte del cervello fisico per completare le altre due. In un certo senso abbiamo già un livello terziario digitale in un certo senso, in quanto abbiamo il nostro computer, il nostro telefono cellulare e le nostre applicazioni. Abbiamo già oggi cioè superpoteri incredibili che imperatori del passato e presidenti del mondo del presente non avevano solo vent’anni fa. Le persone sono (siamo) già “cyborg”. Siamo già creature diverse da come saremmo stati vent’anni fa, o anche dieci anni fa. Siamo già persone diverse. Si può facilmente vedere quando dimentichiamo per sbaglio il telefono cellulare, che è come non avere più un arto o tutti gli arti. Noi tutti siamo già uniti al telefono cellulare, al laptop, alle applicazioni e a tutto il resto. Ci sentiamo esseri umani che usano dispositivi ma quando interagiamo su Internet o su FaceTime o quando siamo in un video di YouTube non ci accorgiamo di essere già pienamente digitali. Siamo digitali in realtà, per quanto ci sentiamo persone. L’unica differenza è che non siamo lì di persona, stiamo usando sistemi che corrono alla velocità della luce, attraverso fili, satelliti ed onde elettromagnetiche. La sola differenza è il mezzo.

Similmente, prima del linguaggio, non c’era un modo per portare un pensiero da un cervello all’altro. I primi umani hanno inventato la tecnologia del linguaggio, trasformando le corde vocali e le orecchie nei primi dispositivi di comunicazione al mondo e l’aria quale primitivo mezzo di comunicazione. Ancora oggi utilizziamo tali meccanismi quando parliamo di persona. Successivamente abbiamo inventato un secondo livello di meccanismo che ci permette di parlare a lunga distanza: in tal senso il nostro telefono è noi stessi tanto quanto le nostre corde vocali, le nostre orecchie o i nostri occhi. Tutti questi sono semplicemente strumenti atti a spostare i pensieri da cervello a cervello. A questo punto, a chi importa se lo strumento è tenuto in mano, in gola o nelle orbite? L’era digitale ci ha regalato una doppia identità: siamo cioè una creatura fisica che interagisce con l’ambiente fisico utilizzando le parti biologiche – del corpo, e una creatura digitale i cui dispositivi digitali – le cui parti digitali – ci consentono di interagire con il mondo digitale. Con un telefono piantato in testa o dentro la gola o con un telefono in mano, poggiato e premuto contro la testa, qual’è la differenza? Siamo già cyborg, abbiamo già superpoteri e trascorriamo già gran parte della nostra vita nel mondo digitale. Di conseguenza è ovvio volere migliorare il mezzo che ci collega a quel mondo, entrando nel nostro cervello.

Siamo già digitalmente sovrumani. Con un’interfaccia a larghezza di banda elevata non facciamo altro che migliorare digitalmente. Siamo cyborg e continueremo a essere cyborg, adesso cerchiamo di passare da cyborg primitivi a bassa larghezza di banda a cyborg moderni ad alta larghezza di banda. L’interfaccia dell’intero cervello ci trasforma da creature i cui strati primari e secondari vivono nella nostra testa e il cui strato terziario vive nelle nostre tasche, nelle nostre mani o sulla nostra scrivania – a creature i cui tre strati convivono tutti insieme. La nostra vita è piena di dispositivi, compreso quello che stiamo utilizzando adesso per leggere il testo, l’interfaccia completa trasforma il nostro cervello nel dispositivo, permettendo ai nostri pensieri di andare direttamente dalla nostra testa nel mondo digitale. La larghezza di banda dell’interfaccia consente alle immagini in ingresso di essere hd, al suono in ingresso di essere hi-fi, la comunicazione velocissima, accuratissima. Ci sono infatti un sacco di concetti nella nostra testa che il cervello deve provare a comprimere ad una velocità di dati incredibilmente bassa chiamata “discorso” o “digitazione”. Questo è il nostro “linguaggio”: il nostro cervello esegue un algoritmo di compressione sul pensiero, sul trasferimento del concetto. Poi deve anche ascoltare e decomprimere ciò che arriva.

Quindi, quando stiamo facendo la decompressione, mentre stiamo cercando di capire, stiamo simultaneamente cercando di dare forma allo stato mentale dell’altra persona per ricombinare nella nostra testa i concetti che l’altro ha nella sua testa e che sta cercando di comunicarci. Con due interfacce cerebrali si può effettivamente fare una comunicazione di concetti diretta e non compressa con un’altra persona. La sfumatura altro nome è che un pensiero ad alta risoluzione, che rende il “file” semplicemente troppo grande per essere trasferito rapidamente. Quindi il nostro cervello, quando si tratta di sfumature, ci offre due possibilità: impiegare molto tempo a dire molte parole per descrivere davvero il pensiero o le immagini sfumate che vogliamo trasmettere, o risparmiare tempo usando un linguaggio coinciso, tuttavia inevitabilmente non riuscire a trasferire la sfumatura. È il linguaggio stesso ad essere un mezzo a bassa risoluzione. La parola è semplicemente un’approssimazione di un pensiero. Se guardo, ad esempio, un film dell’orrore e voglio descriverlo a parole, sono bloccata ad alcuni semplici concetti e parole, comunicazioni a bassa risoluzione: “spaventoso” o “inquietante”, “terrificante”, “agghiacciante” o “forte”, “intenso”. Gli strumenti – rozzi – del linguaggio costringono il nostro cervello a rivolgersi e scegliere il concetto approssimativo, a scegliere le parole che più si avvicinano alla impressione reale, e così comunichiamo quelle informazioni. Non si trasmette cioè il pensiero pieno e completo e si deve indovinare quale delle molte impressioni sfumate si avvicina di più, è la più simile alla effettiva e determinata impressione del film. Il risultato finale è che molto è andato perso nella traduzione, che è esattamente quello che ci si aspetta quando si prova trasferire un file ad alta risoluzione su un mezzo a bassa larghezza di banda, rapidamente, utilizzando strumenti a bassa risoluzione. In realtà noi tutti facciamo del nostro meglio con queste limitazioni e, nel tempo, abbiamo integrato il linguaggio con formati a risoluzione leggermente superiore come il video per trasmettere meglio immagini sfumate o la musica per trasmettere meglio emozioni sfumate.

Ma rispetto alla ricchezza e all’unicità delle idee dentro la nostra testa e alla grande larghezza di banda che scorre attraverso i nostri pensieri interni, tutta la comunicazione da uomo a uomo è molto imprecisa e tecnicamente scarsa. Si tratta di implementare il tutto. Ci sono già milioni di persone che attualmente camminano con gli elettrodi nel cervello, come quelli con impianti cocleari, impianti retinici ed impianti cerebrali profondi. Ci si concentra sul ripristino delle funzioni perse in diverse parti del corpo – le prime persone a cui la propria vita è trasformata dalla tecnologia del cervello digitale sono i disabili. Il concetto di impianti cerebrali si fa strada cioè dai margini e sta divenendo qualcosa a cui tutti ci stiamo abituando e abitueremo, proprio come nessuno batte ciglio quando oggi diciamo che un nostro amico ha appena subìto un intervento chirurgico o a qualcuno è stato appena installato un pacemaker. Il primo utilizzo della tecnologia – in corso – è quello di riparare le lesioni cerebrali a seguito di un ictus o di eliminare una lesione da tumore, in cui si è perso un determinato elemento cognitivo. Si stanno già aiutando le persone tetraplegiche o paraplegiche fornendo loro uno shunt neurale dalla corteccia motoria fino al punto in cui vengono attivati ​​i muscoli.

O alle persone che, invecchiando, hanno problemi di memoria e non riescono a ricordare i nomi, migliorandone la memoria e consentendo loro di vivere e “funzionare” meglio in un momento più tardo della vita – per affrontare cioè la disabilità mentale, che incombe su tutti noi quando diventiamo anziani, come la demenza senile. Mentre la larghezza di banda dell’interfaccia migliorerà, le disabilità che oggi ostacolano milioni di persone inizieranno a diminuire come le mosche. Si pensi ai casi di completa cecità e sordità, sia centrata sugli organi sensoriali che sul cervello, le quali sono già in via di estinzione. Progressivamente sarà possibile ripristinare la vista o l’udito perfetti. Gli arti protesici – e gli esoscheletri di tutto il corpo sotto i vestiti – funzioneranno fornendo sia le funzioni motorie che il senso del tatto; la paralisi o le amputazioni avranno un effetto di gran lunga minore a lungo termine sulla vita delle persone. Nei malati di Alzheimer ad esempio, i cui ricordi spesso non sono persi, ma è difettoso solo il ponte verso quei ricordi, un’interfaccia avanzato potrà aiutare a ripristinare quel ponte o fungere da nuovo.

Mentre questo sta già accadendo, stanno iniziando ad emergere le interfacce desiderate da persone senza disabilità. I primi utenti saranno probabilmente piuttosto ricchi, così come lo erano anche i primi utilizzatori dei telefoni cellulari – il telefono cellulare di Gordon Gekko nel film Wall Street del 1983 costava quasi diecimila euro di euro di oggi. Oggi più della metà degli esseri umani viventi possiede un telefono cellulare, e tutti molto meno primordiali di quello di Gordon Gekko. Mano a mano che i telefoni cellulari sono diventati più economici e migliori, sono stati percepiti, da nuovi ed eccentrici e futuristici quali erano, a presenti ed onnipresenti. Stiamo percorrendo cioè la stessa strada con le interfacce cerebrali. Il mondo sta diventando giorno dopo giorno sempre più interessante.

(Continua)

Aggiornato il 21 settembre 2020 alle ore 18:07