Tornerà o no “sleeping Joe” a disturbare i sogni di Donald Trump e della sua Maga (“Make America great again”)? A oggi, e sempre di più domani, a quanto pare, non ci credono nemmeno i suoi. Perché si sa: se non lo lasci tu quando sei ancora in tempo per far bella figura, prima o poi il potere lascerà te con scorno e ignominia. Tanto più in una democrazia matura, che prevede per Costituzione il fermo divieto del terzo mandato consecutivo. Cioè, va bene il “doppio”, ma se si vuole ritentare occorre star fermi un giro, dopo aver terminato un decennio come presidente degli Stati Uniti. Quindi, avendo ottemperato alla regola, una vittoria di Trump il prossimo novembre potrebbe essere replicata nel novembre del 2028. Evento che terremoterebbe per sempre la mouvance “woke” del dirittismo (sempre più diritti) woke. Dice Joe Biden (che fa il ventriloquo, si immagina, ai suoi interessati famigliari e consiglieri) di voler salvare con la sua ricandidatura l’Anima della Nazione americana, anche se The Economist considera freddamente che le sue chance di spuntarla contro Trump non superino a oggi il 30 per cento. Ma, oltre il rompicapo dell’età, c’è da chiedersi serenamente: che cosa farebbe Biden alla Casa Bianca per altri quattro anni? Per capirci, mentre nell’era social Trump ha pubblicato sui suoi profili social intere pagine di proposte, il programma di Biden risulta non pervenuto.
Dietro questa reticenza, però, vi potrebbe essere una precisa strategia: la forte polarizzazione del voto di novembre, infatti, sconsiglierebbe di pubblicizzare le grandi idee politiche, perché sarebbero facilmente attaccate dall’avversario e non porterebbero grandi vantaggi dal punto di vista dei consensi. A quanto pare, gli elettori americani si troverebbero a disagio se si desse troppa enfasi a un’economia invidiata dal resto del mondo, insistendo così affinché ambedue i candidati mettano l’accento sugli investimenti infrastrutturali. Aspetto programmatico, quest’ultimo, che latita nei discorsi di entrambi. La prudenza mostrata da Biden ha un suo perché, dato che le cose che potrà fare o non fare in caso di vittoria dipenderanno da quanto i democratici controlleranno Camera bassa e Senato. Certo, anche se Biden potrà avvalersi dei suoi poteri presidenziali (i decreti esecutivi) per bypassare l’eventuale ostilità o boicottaggio delle Camere, i suoi atti saranno sempre esposti al giudizio delle Corti di merito. Al momento, com’è noto, i democratici hanno la maggioranza per un solo seggio al Senato, che sale a cinque nel caso della Camera dei rappresentanti e potrebbe rafforzarsi ulteriormente dopo novembre 2024, al contrario di quella al Senato. In quest’ultimo caso, un pareggio indebolirebbe il filibustering, una regola parlamentare che permette il boicottaggio vincente, nel caso si abbia a che fare con leggi non legate alla fiscalità, per superare il quale è necessaria una maggioranza superiore al 60 per cento, cosa che renderebbe quindi impossibile per Biden la reintroduzione a livello federale del diritto di aborto.
Un esempio, per capire: se dopo il 2024 l’attuale inquilino della Casa Bianca vincesse e i Democratici controllassero il Congresso, Biden potrebbe ben sperare di mettere mano al suo sogno legislativo di sempre per il rafforzamento della componente sindacale, facendo approvare il suo “Pro Act”. Provvedimento quest’ultimo che metterebbe fuori gioco le singole legislazioni degli Stati in materia di rappresentanza del lavoro, facilitando la vita alle grandi organizzazioni sindacali. A quel punto, potrebbe rientrare in campo la questione del salario minimo, oggi fissato a 7,5 dollari/ora dal 2019, che Biden vuole letteralmente raddoppiare, portandolo a 15 dollari/ora. Del resto, è vero che in materia fiscale i Democratici dimostrano grandi ambizioni, intendendo ristrutturare il tax code, per poi utilizzare il gettito fiscale aggiuntivo investendolo in lotta alla crisi climatica, cura dell’infanzia, edilizia popolare e salute. Per realizzare il tutto, però, bisognerà trovare il coraggio di tassare adeguatamente i grandi patrimoni e le corporazioni che considerano, da parte loro, quasi un “optional” il pagamento delle tasse, facendo passare il corporate-tax-rate dal 21 al 28 per cento. Tuttavia, le ambizioni di un Biden vittorioso potrebbero essere ridimensionate da una solida maggioranza repubblicana al Senato, per quanto riguarda le questioni budgetarie.
Tanto più che nel 2025 avranno termine le agevolazioni fiscali varate da Trump, cosa che spingerà il Congresso a legiferare in merito, qualunque sia la sua maggioranza. I Repubblicani vorrebbero che i tagli fossero estesi e rinnovati, cosa che costerebbe al bilancio federale qualcosa come 3,3 trilioni di dollari! E certamente, in questo caso i Democratici avrebbero frecce da spendere al loro arco, per finanziare la politica di sussidi a famiglie con figli e per l’acquisto agevolato di una casa ai meno abbienti. In particolare, nella prossima manovra finanziaria, i Democratici potrebbero ottenere un aumento della corporate-tax, in cambio di tasse più basse per le persone fisiche. Stesso discorso bipartisan varrebbe per il contenimento dell’export cinese e del libero commercio (attraverso l’imposizione di dazi e tariffe aggiuntive ai prodotti più inquinanti), continuando a sussidiare i produttori americani di semiconduttori e di acciaio. Come si vede, Biden o Trump, dopo il 2024 per l’Europa si prevedono ancora rapporti piuttosto difficili e travagliati con l’alleato americano.
Aggiornato il 12 luglio 2024 alle ore 09:48