Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, considerato il “becchino del laicismo kemalista” – in riferimento al laico fondatore della Repubblica di Turchia, 1923, Mustafa Kemal Atatürk – professando l’antisecolarismo a favore dell’islamizzazione della società, tratteggia la sempre maggiore distanza culturale dall’Europa. Una questione, quella dell’ingresso della Turchia nell’Unione europea che sta occupando da anni le reciproche diplomazie, ma che da anni non manifesta alcun avvicinamento di Ankara ai parametri minimi, soprattutto circa le libertà individuali e i Diritti umani, per poter fare ingresso nella Ue. Infatti le trattative diplomatiche turche, contrattate sui più disparati “tavoli internazionali”, dove gioca una politica estera senza pregiudizi geopolitici o vincoli, stanno distanziando decisamente Istanbul da Bruxelles. Inoltre, gli atteggiamenti di chi detiene il potere in Turchia mostrano sistematicamente una sorta di celebrazione quotidiana della sharia, la legge islamica. Ma un ulteriore fattore che non agevola una nitida visione del futuro politico di Erdoğan, si è riscontrata dopo la pesante sconfitta elettorale incassata nelle ultime elezioni amministrative del marzo 2024, in cui il partito del presidente, Akp (Partito giustizia e sviluppo), ha mostrato un crollo dei consensi.
Questa tornata elettorale ha enfatizzato la debolezza dell’autocrate di Ankara, al potere dal 2003, e la precarietà della coalizione del Governo islamo-nazionalista. Tra un processo di islamizzazione della società turca e le ondivaghe posizioni in politica estera espresse da Erdoğan, non fanno scalpore le recenti affermazioni del ministro degli Esteri turco Hakan Fidan, il quale durante la sua visita in Cina a maggio ha dichiarato che la Turchia vuole aderire al gruppo economico Brics. Intanto, va chiarito che nel Brics da gennaio sono entrati quattro colossi petroliferi compreso l’Iran, quindi non è solo un gruppo economico come dichiarato da Fidan, ma è anche un pesante gruppo politico; il peso politico si è palesato anche recentemente quando il Sudafrica, membro Brics della prima ora, ha denunciato Israele alla Corte di Giustizia dell’Aia per crimini contro l’umanità in riferimento ai morti di Gaza.
Ma la prima domanda che si pone è: nel caso la Turchia aderisse al Brics+, quale sarebbe l’impatto di questo progetto sul rapporto tra Ankara e Bruxelles? Al momento si può affermare che solo i prossimi mesi potranno rivelare le vere intenzioni della Turchia riguardo all’adesione al Brics. È certo che il progetto turco sta valutando soprattutto cosa stanno cercando di occultare i Paesi occidentali. Senza dubbio c’è una crescente influenza su scala globale del Brics. La banca Brics sta prestando per ora dollari, ma a breve una propria valuta, a numerosi Paesi che saranno così vincolati al gruppo. Il peso, sempre crescente, di altre organizzazioni di Paesi non occidentali, sta sentenziando il “tramonto” di un’egemonia occidentale da tempo moribonda. Le influenze economico-politiche non occidentali sono sempre più attraenti non solo per i Paesi del Sud del mondo, ma anche per i Paesi confinanti con l’Occidente. Molti di questi già hanno bussano alle porte del Brics.
Ricordo che il Brics è l’acronimo di un sistema di cooperazione tra mercati consolidati ed emergenti che inizialmente comprendeva Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica. Da gennaio, hanno aderito al Brics: Egitto, Emirati Arabi Uniti, Iran ed Etiopia facendo acquisire al Brics il segno + (Brics+) portando i membri a nove. La Russia detiene la presidenza di turno del gruppo per il 2024. E non è casuale che proprio la Russia abbia manifestato per prima il suo interesse a favore della dichiarazione del ministro Hakan Fidan. Infatti, il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, i primi di giugno ha dichiarato che la Russia accoglie con soddisfazione il progetto turco di adesione al Brics, sostenendo i numerosi comuni denominatori che possono agevolare tale integrazione. Il ministro degli Esteri turco Fidan ha poi aggiunto che la Turchia avrebbe monitorato gli sviluppi all’interno dell’organizzazione.
Ma il ministro delle Finanze turco, Mehmet Şimşek, ha contradetto le dichiarazioni del ministro Fidan, affermando che “l’Ue è stata un fondamentale propulsore per il cambiamento dei Paesi dell’Europa centrale e orientale”. Inoltre, ha dichiarato che le trasformazioni, riferite al raggiungimento di “standard”, sono agevolate se ci sono dei punti fermi, e l’Unione europea è un punto fermo. Quindi come si colloca la dichiarazione di Fidan quando dice che la comunità Brics sarebbe una buona alternativa all’Ue? La risposta è semplice: in Turchia comanda solo uno e non è né Fidan né Şimşek, ma l’aspirante sultano Erdoğan, e spetterà a lui la decisione di aderire al Brics o no. In caso di adesione al Brics sarebbe il primo Paese Nato. Certamente da molti punti di vista la Turchia ha molte più connessioni con il Brics che con l’Ue.
Aggiornato il 27 giugno 2024 alle ore 10:27