Embargo al petrolio russo solo su import via mare

 

Alla fine la montagna ha partorito un topolino. E il vertice dell’Unione europea sull’embargo al petrolio russo ha trovato una soluzione tale da soddisfare l’Ungheria, la Repubblica Ceca e la Slovenia. La sanzione era già partita in retromarcia, con annunci improvvidi da parte della Commissaria Ue Ursula von der Leyen che paga – da politica della Cdu, l’Unione cristiano-democratica di Germania – il dover seguire le ossequiose politiche della Spd (Partito Socialdemocratico tedesco) verso la Russia. Adesso le nazioni prive di sbocchi sul mare potranno continuare a rifornirsi via pipeline dalla Russia. E pazienza se l’oleodotto si chiama – molto più che ipocritamente – Oleodotto dell’Amicizia (Nefteprovod Družba). Se non altro, l’embargo sarà attivo “il prima possibile”. Nel frattempo, Mosca ha escluso l’Olanda dalle sue forniture energetiche, punendola perché non ha accettato di pagare in rubli. L’Ue si impegna di attuare “misure di emergenza” nel caso in cui Mosca dovesse chiudere i rubinetti del gas a tutta l’Europa, come ha fatto con Finlandia e Olanda.

L’incontro di Bruxelles prevede anche un altro tema importante: lo stop all’asservimento degli europei di fronte a un nemico dichiarato. La politica europea ne esce comunque con le ossa rotte: era il 1576 quando Étienne de La Boétie pubblicava clandestinamente il Discorso sulla servitù volontaria, un trattato in anticipo sui tempi, in quanto già libertario, illuminista, calvinista. Ebbene, l’Europa a guida franco-tedesca dal 1989 si è fatta ingoiare dal pitone russo, prima accorrendo a Mosca (cieca) per mettere bandierine fatte di mobili italiani e Mercedes berlinesi, per farsi poi digerire ed espellere da Vladimir Putin, che ha sfruttato benissimo la lunga sub-guerra tra Occidente e Paesi arabi petroliferi. Per poi aggiungere cene sontuose, isbe untuose e qualche scintillante mademoiselle, così da titillare l’egocentrismo di qualche leader e legare tutta l’Europa ai gasdotti degli ex uomini del Kgb sovietico.

Anche lo sbarco in Libia del reggimento Wagner doveva farci capire che le nuove walkirie non sono tedesche ma anche pietroburghesi. E mentre il petrolio libico e il gas algerino non erano più una garanzia, si è aggiunto il pesante supporto pedagogico dato dai russi a noi tutti polli di Renzo che sfilavamo contro la Tap, contro il nucleare, contro gli arabi, contro la guerra, contro gli “americani”, contro il petrolio. Intanto, centinaia di Dracula politici – pagati o no – e rimestapopolo – pagati o no – spronavano il popolo alla servitù volontaria: nullafattisti, fascisti neo o post, comunisti neo o post: tutti contribuivano a chiudere acciaierie o farci delocalizzare a colpi di bonus, mentre urlavano contro le trivelle in Lucania o nell’Adriatico, dove trivella persino la Papuasia, ma non l’Italia.

E mentre noi litigavamo come capponi perfino quando eravamo già nella padella di Gazprom, la nave dell’autonomia energetica e della nostra dignità e intelligenza affondava miseramente davanti al Giglio. Perché siamo diventati così stupidi da protestare contro il petrolio di Marte e Giove, di Miami o Calcutta ma mai contro il petrolio e il gas russo? È stato (e continua ancora oggi) un gigantesco abbindolamento dell’opinione pubblica. Una truffa ipnotica da psicologia delle masse mai vista nella Storia.

Solo adesso a Bruxelles si parla di renderci autonomi: quando è già tardi, e senza capire che le “energie alternative” a oggi possono coprire solo il 20 per cento del totale necessario, come ricorda Chicco Testa. Il RePowerEu, certo, è glorioso come una Giovanna d’Arco a Poitiers. Magari, già che ci siamo, diamo anche un po’ di spazio in più alle coltivazioni di cereali in Francia, Spagna e Italia.

1973-2022: un identico doppio suicidio su petrolio e gas

La crisi energetica del 1973 iniziò quando Egitto e Siria attaccarono proditoriamente Israele nel giorno della festa nazionale dello Yom Kippur. Doveva essere una Pearl Harbour. Fu una Waterloo, militarmente. Ma tutta l’Opec (Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio) sostenne gli sconfitti raddoppiando in un giorno il prezzo del greggio ai Paesi occidentali, colpevoli di aver sostenuto Israele. Qualcosa di simile a quanto fatto dalla Russia all’Ucraina nel 2022. In pochi giorni i prezzi dei beni di consumo salirono alle stelle, mentre si interrompevano le esportazioni di petrolio verso Europa e America.

Ne derivò una pesante crisi economica che mise fine al lungo ciclo economico positivo del Secondo dopoguerra. La “Austerity” impose lo stop alla circolazione delle auto e gravi limiti alla produzione industriale. Ci eravamo impiccati al petrolio arabo. Lo stop all’export di petrolio verso Usa e Olanda durò fino al 1975. Il resto dell’Europa si salvò grazie alla politica di “sottomissione” attuata dalla Comunità economica europea. La sottomissione si attuò in diversi modi. La prima richiesta (non ufficiale) dell’Opec fu di smettere di sostenere le ragioni di sopravvivenza dello Stato di Israele, nato dopo la Shoah. La seconda consisteva nell’attivare una politica di intese culturali, migratorie e politiche con i Paesi arabi. Queste politiche vanno sotto il nome di Eurabia, nome di una rivista edita dalla Cee. Nel novembre 1973 il presidente francese Georges Pompidou e il cancelliere Willy Brandt siglarono l’avvio del “Dialogo euro-arabo”. Nel corso della Conferenza di Damasco del 1974, organizzata dalla neonata associazione interparlamentare di Cooperazione euro-araba, gli arabi posero condizioni politiche agli accordi economici, tra cui il ritorno ai confini del 1948, la islamizzazione di Gerusalemme, il riconoscimento dell’Olp, la necessità di effettuare pressioni sugli Stati Uniti allo scopo di allontanarli da Israele.

Mentre l’Europa dormiva e pubblicava la rivista “Eurabia”, gli Stati Uniti facevano il lavoro “sporco”, con gli accordi di Camp David (1977-1978) che portarono alla pace Israele-Egitto con la restituzione del Sinai all’Egitto, che fu espulso dalla Lega Araba. Il Dialogo euro-arabo includeva anche l’avvio dell’emigrazione verso l’Europa, con la raccomandazione di mantenere l’identità religiosa e culturale dei migranti. Si arrivò così all’11 settembre 2001, prologo alla sub-guerra che continua ancora oggi con altri attori.

Dove compriamo il petrolio?

La Russia è il terzo produttore mondiale, dopo Usa e Arabia Saudita, ma è il primo esportatore. Ecco perché Vladimir Putin è il successore di Bin Laden, se non nel terrorismo diretto nell’ossessione di essere il Re del Mondo dell’energia (la famiglia di Osama Bin Laden era ed è proprietaria del Saudi Binladin Group). Italia e Francia importano dalla Russia il 13 per cento del fabbisogno, mentre la Germania sale al 30 per cento. Nel nostro Paese, a fine novembre 2021, solo il 10 per cento arrivava dalla Russia, mentre ben il 23,3 per cento proveniva dall’Azerbaigian, il 18,5 per cento dalla Libia, il 14,7 per cento dall’Iraq e il 10 per cento dall’Arabia Saudita. Il sottoscritto sperava che i giacimenti di gas e greggio del Mare del Nord avrebbero potuto sostituire il petrolio russo mancante, ma non è così. La produzione norvegese è, infatti, alquanto bassa. Dovremo puntare a forniture extra dall’Africa (Nigeria, ma anche Angola e Camerun) e dalle Americhe (ma il Venezuela è un altro Nord Corea). Senza dimenticare ciò che abbiamo in Italia.

Aggiornato il 31 maggio 2022 alle ore 15:48