Europarlamento vs Ungheria su Stato di diritto e Recovery fund

mercoledì 14 luglio 2021


L’approvazione da parte del Parlamento europeo di una risoluzione contro la Nazione magiara, in violazione di un accordo raggiunto nel dicembre 2020 fra Unione europea e Ungheria, fa dubitare della nozione di Stato di diritto e rende invece concreta la lesione delle prerogative degli Stati, riconosciute dai Trattati. Proponiamo, tradotti in italiano, i passaggi più significativi della contestata legge sulla protezione dei minori approvata dal Parlamento di Budapest, lasciando al lettore la valutazione di quanto essa realmente violi i diritti, come denunciato dalla maggioranza degli europarlamentari. 

Lo scontro istituzionale fra la Commissione Ue, il Parlamento europeo e l’Ungheria è già stato oggetto di disamina sul questo sito sia quanto alle cosidette condizionalità economiche e rispetto del cosiddetto Stato di diritto sia quanto all’accordo faticosamente raggiunto nel dicembre 2020: esso nella sostanza prevedeva di tenere distinte la procedura – eventuale – di infrazione per la lesione, contestata all’Ungheria, delle regole dello Stato di diritto dal meccanismo di condizionalità per la protezione del bilancio comune e, quindi, per l’accesso ai fondi del Next Generation Eu Fund (cosiddetto Recovery fund). L’intesa includeva pure la compilazione, in accordo fra Ue e Stati membri, di linee guida per le modalità di attuazione di tale condizionalità.

Approvato, dunque, il bilancio europeo col voto favorevole anche di Polonia e Ungheria, e attivata di conseguenza la sovvenzione finanziaria del Recovery Plan, pur in assenza delle linee guida prima citate, il Parlamento di Strasburgo ha approvato l’8 luglio 2021 una risoluzione non vincolante, a larga maggioranza (459 voti favorevoli, 147 contrari e 58 astensioni), di denuncia dello “smantellamento della democrazia e dello Stato di diritto” in Ungheria e di “condanna con la massima fermezza” della recente legislazione ungherese anti-Lgbt, qualificata come “una chiara violazione dei diritti fondamentali sanciti dalla Carta, dai Trattati e dalla legislazione dell’Ue (…) ulteriore esempio intenzionale e premeditato del graduale smantellamento dei diritti fondamentali in Ungheria”.

Essa, sempre secondo la risoluzione, precisa che “l’ostilità nei confronti delle persone Lgbt e le campagne di disinformazione sono diventate strumenti di censura politica (…) parte di una più ampia agenda politica che sta portando allo smantellamento della democrazia e dello Stato di diritto, compresa la libertà dei media, e dovrebbero essere considerate violazioni sistematiche dei valori Ue”. Per questo gli eurodeputati hanno chiesto alla Commissione e al Consiglio Ue, nel “riconoscere finalmente l’urgenza di un’azione a difesa dei valori iscritti nell’articolo 2 del Trattato”, di avviare una procedura d’infrazione accelerata e di utilizzare, se necessario, gli strumenti procedurali della Corte di Giustizia, “come misure provvisorie e sanzioni per inadempienza” volte ad evitare l’uso dei fondi Ue per finalità “discriminatorie”.

L’iniziativa parlamentare era stata preannunciata dal presidente del Parlamento, l’italiano David Sassoli, esponente del Partito Democratico, il quale il 24 giugno aveva già ammonito: “Il regolamento sullo Stato di diritto è legge, vale per tutti, e va rispettata. Se la Commissione europea non assumerà iniziative verso quei Paesi che non lo rispettano, il Parlamento europeo potrebbe rivolgersi alla Corte di Giustizia dell’Unione europea”. E aveva precisato, nel rispondere a una domanda sulla proposta di legge ungherese sull’omosessualità, che “l’anno scorso abbiamo avviato un processo che ha impegnato molto le istituzioni europee, in particolare il Parlamento europeo, per il regolamento sulle condizionalità sullo Stato di diritto. Crediamo che sia il momento per applicare la legge. Ho scritto alla presidente Ursula von der Leyen, per invitarla ad assumere delle iniziative per quanto riguarda i Paesi che sono sottoposti a violazione dell’articolo 7. Le sanzioni sarebbero anche quelle di staccare le risorse per quanto riguarda i fondi europei (…) La legge va rispettata, è stata varata ed è legge per tutti. Noi crediamo che rispetto a violazioni palesi ci debbano essere delle sanzioni”.

L’invito è stato prontamente raccolto dalla presidente della Commissione europea, la quale ha scritto su Twitter: “Vigileremo da vicino sulla protezione del bilancio europeo e del Next Generation Eu. Tutti i piani nazionali di rilancio includono un solido sistema di controllo e passaggi fondamentali per monitorare dove vanno a finire i soldi. Perché alla fine sono i cittadini europei a pagarli”. Ha aggiunto, scendendo nello specifico della legge magiara, definita “vergognosa e discriminante” e “profondamente in contraddizione con i valori fondamentali dell’Ue”, che “non resteremo a guardare mentre intere regioni si dichiarano come Lgbtq-free. L’Europa non permetterà mai che parti della nostra società vengano stigmatizzate. Quando ci battiamo per alcune parti della nostra società, ci battiamo per la libertà di tutta la nostra società”.

Anche l’Italia, come twittato il 21 giugno da Enzo Amendola, sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega Affari Ue, anch’egli esponente del Partito Democratico, poiché “a fine Consiglio Affari generali non sono arrivati chiarimenti soddisfacenti dall’Ungheria sulle leggi approvate che producono discriminazioni in base all’orientamento sessuale (…) ha firmato la richiesta degli altri 13 Stati membri dell’Ue”, con cui si esprime “grave preoccupazione”.

La stigmatizzazione delle persone Lgbtiq”, si legge nel comunicato, “costituisce una chiara violazione del loro diritto fondamentale alla dignità, come previsto dalla Carta dell’Ue e dal diritto internazionale”.

E in effetti vi sarebbe uno stop al piano di ripresa e resilienza coi fondi del Recovery fund per l’Ungheria, pari a 7,2 miliardi di euro, avendone la Commissione europea sospeso la valutazione positiva, come hanno rivelato alcune fonti di Bruxelles all’agenzia tedesca Dpa, in quanto le misure di precauzione per evitare abusi nelle spese dei fondi non sarebbero “sufficienti”. La temuta condizionalità, dunque, si ripresenta. Ma che cosa effettivamente dice la nuova legislazione ungherese da indurre i rappresentanti Ue a non rispettare l’accordo politico dello scorso dicembre?

Si tratta di emendamenti a precedenti norme in materia di tutela dei minori e di protezione delle famiglie, e di conseguente limitazione alla pubblicità mediatica e al loro accesso a programmi televisivi, nonché delle relative ricadute sui programmi e i contenuti dell’“educazione pubblica nazionale”.

Nel dettaglio, ecco in una nostra traduzione (*) i passaggi della novella legislativa ungherese che sono stati ritenuti discriminatori contro gli appartenenti alla comunità Lgbtq+: “Nel sistema di protezione dell’infanzia, lo Stato protegge il diritto dei bambini a un’auto-identità corrispondente al loro sesso alla nascita. Per garantire la realizzazione degli obiettivi stabiliti nella presente legge e l’attuazione dei diritti del fanciullo, è vietato rendere accessibili alle persone che non hanno raggiunto l’età di diciotto anni contenuti pornografici o che rappresentano la sessualità in modo gratuito o che propagano o ritraggono la divergenza dall’identità corrispondente al sesso alla nascita, il cambiamento di sesso o l’omosessualità”.

Da ciò la scandalizzata dichiarazione di Ursula von der Leyen: “Mette l’omosessualità e la riassegnazione di genere alla pari con la pornografia (…) Questa legge strumentalizza la protezione dei bambini, a cui tutti teniamo, usandola come scusa per discriminare gravemente le persone in base al loro orientamento sessuale. Questa legge è vergognosa”;

“È vietato rendere accessibile alle persone che non hanno raggiunto l’età di diciotto anni la pubblicità che ritrae la sessualità in modo gratuito o che propaganda o ritrae la divergenza dall’autoidentità corrispondente al sesso alla nascita, il cambiamento di sesso o l’omosessualità”;

“I programmi (…) in grado di esercitare un’influenza negativa sullo sviluppo fisico, mentale o morale dei minori, in particolare perché hanno come elemento centrale la violenza, la propagazione o la rappresentazione della divergenza dall’identità personale corrispondente al sesso alla nascita, del cambiamento di sesso o dell’omosessualità o la rappresentazione diretta, naturalistica o gratuita della sessualità (…) sono classificati come non adatti a un pubblico di età inferiore ai diciotto anni”;

Lo Stato protegge le istituzioni della famiglia e del matrimonio anche per la loro dignità e valore in sé e per sé, con particolare riguardo al rapporto tra genitori e figli, in cui la madre è donna e il padre è uomo. La protezione delle relazioni familiari organizzate e l’attuazione del diritto dei bambini a una autoidentità corrispondente al loro sesso alla nascita, hanno un ruolo fondamentale nel preservarne la salute fisica, mentale e morale. Per la protezione degli obiettivi enunciati nella presente legge e dei bambini, è vietato rendere accessibili alle persone che non hanno raggiunto l’età di diciotto anni contenuti pornografici o che rappresentano la sessualità in modo gratuito o che propagano o ritraggono la divergenza dall’autoidentità corrispondente al sesso alla nascita, il cambiamento di sesso o l’omosessualità”.

Infine, in tema di Nktv, l’educazione pubblica nazionale ungherese: “Nello svolgimento delle attività riguardanti la cultura sessuale, il sesso, l’orientamento sessuale e lo sviluppo sessuale, si deve prestare particolare attenzione alle disposizioni dell’articolo XVI della Legge fondamentale. Tali attività non possono essere finalizzate alla propagazione della divergenza dall’auto-identità corrispondente al sesso alla nascita, al cambiamento di sesso o all’omosessualità”.

Tali norme sono realmente discriminatorie nei confronti delle persone di orientamento omossessuale? Per il ministro degli Esteri olandese, Sigrid Kaag, “discriminare le persone della comunità Lgbt+ col pretesto di proteggere i bambini è inaccettabile nell’Unione europea”. O invece, come spiega la ministra della Giustizia ungherese, Judit Varga, sono volte piuttosto alla protezione dei bambini rispetto alla “propaganda” delle associazioni legate alla comunità Lgbt+? Questo perché: vietano loro di promuovere programmi educativi e informazioni sull’omosessualità; limitano e vigilano sulla pubblicazione di libri e sulla visione di film e serie tv, al fine di garantire la protezione dei diritti dei bambini, per cui i contenuti che raffigurano la sessualità fine a se stessa; promuovono la deviazione dall’identità di genere, il cambiamento di genere e l’omosessualità; non devono essere messi indiscriminatamente a disposizione delle persone di età inferiore ai diciotto anni, e le lezioni di educazione sessualenon dovrebbero essere finalizzate a promuovere la segregazione di genere, il cambiamento di genere o l’omosessualità”.

Lasciamo la valutazione alla lettura obiettiva e non ideologica del testo di legge appena riportato. E questo senza tornare sull’anomalia della dubbia correttezza regolamentare di legare il rispetto dello Stato di diritto alle condizionalità economiche sui bilanci, di cui al compromesso del dicembre 2020, di fatto infranto dalle recenti iniziative degli organi europei: esso che dovrebbe piuttosto condurre alla procedura di infrazione ex articolo 7 Tue (Trattato sull’Unione europea), non al blocco degli aiuti del Recovery Fund.

Resta il problema di fondo di una Unione europea che pretende di censurare, e di farlo fino al punto da condizionarne l’erogazione dei fondi del Recovery Plan, enfatizzati come una fondamentale risorsa per la ripresa dalla crisi indotta dalla pandemia da Covid-19, i singoli Stati membri circa norme nazionali che interessano materie non devolute alla competenza della Ue. Norme nazionali che solo una miope lettura ideologica può denunciare come lesive dei princìpi fondamentali dei Trattati istitutivi e dei valori di cui all’articolo 2 del Trattato di Lisbona: “Il rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e dei diritti umani”.

Quale è, allora, il livello tollerabile di compressione della rappresentatività democratica della volontà espressa dai Parlamenti nazionali e della libertà dei popoli europei, rispetto alla pretesa di interpretazione cogente e censurante proveniente dagli organi dell’Unione di che cosa sia ritenuto fondamentale o meno per essere “europei”?

Una compressione che sembra dare ragione al premier ungherese Viktor Mihály Orbán quando lamenta che “noi dell’Europa centrale sappiamo com’è quando il partito di Stato o il sistema dittatoriale e il monopolio di potere che gestisce, vogliono crescere i bambini al posto dei loro genitori. Non l’abbiamo permesso ai comunisti, quindi non permetteremo nemmeno a questi sedicenti apostoli della democrazia liberale di educare i bambini al posto dei genitori ungheresi”.

(*) Contributo del professor Antonio Casciano

(**) Tratto dal Centro studi Rosario Livatino


di Renato Veneruso (*)